VITTORIO DE SCALZI: «LE MIE NOZZE D’ORO CON LA MUSICA»

Di il 30 Maggio 2017

 

Dalla fondazione dei New Trolls agli esordi sul palco con i Rolling Stones, dall’amicizia con De Andrè al primo concept album della musica italiana, dal “Concerto Grosso” con Bacalov alle canzoni in dialetto genovese: i cinquant’anni di carriera di Vittorio De Scalzi raccontati a GOA Magazine

 

«Pensavo fossero 25 e invece sono il doppio» scherza Vittorio De Scalzi, 67 anni, la maggior parte dei quali passati dietro uno strumento musicale a comporre canzoni. Cantautore e polistrumentista, l’artista genovese proprio quest’anno festeggia i cinquant’anni di carriera, un traguardo che lo sta portando in tour in tutti i maggiori teatri italiani. Pochi giorni fa, al Teatro San Carlo di Napoli, si è esibito insieme a Gino Paoli, Patty Pravo, Katia Ricciarelli e molti altri ospiti in una grande festa, presentando anche il nuovo singolo “L’Attesa”, prodotto dal conterraneo Zibba. Storica e inconfondibile voce dei New Trolls, sempre diviso tra animo rock e cantautorato della vecchia scuola genovese, Vittorio De Scalzi celebra una carriera iniziata nel 1967 dividendo il palco con i Rolling Stones. Poi l’incontro con Fabrizio De Andrè, un’amicizia che porta alla realizzazione del disco “Senza orario senza bandiera”, tuttora ricordato come il primo concept album della musica italiana, e la collaborazione con Luis Bacalov che cambia per sempre il destino dei New Trolls, consacrandoli come pionieri del rock progressivo italiano e artisti di fama mondiale. Autore di successi intramontabili come “Una miniera” e “Quella carezza della sera”, Vittorio De Scalzi ha scritto brani per Ornella Vanoni, Mina e Anna Oxa, ha partecipato a otto edizioni del Festival di Sanremo e ha inciso un intero disco in dialetto genovese, un omaggio alla città che porta nel cuore.

 

Vittorio De Scalzi, una vita dedicata alla musica. Cosa si prova a festeggiare un traguardo così importante?

«Da una parte un po’ di amarezza: cinquant’anni sono tanti, avrei preferito festeggiarne venticinque! A parte gli scherzi, sono molto felice, si tratta di un anniversario davvero speciale. Inoltre, iniziare il tour in uno dei teatri più belli e antichi del mondo, il San Carlo di Napoli, è stato davvero emozionante; è stata una bella festa in compagnia di tanti amici e colleghi. Ma presto suonerò a Genova, anche se la data è ancora una sorpresa ».

 

Lei è uno dei più importanti esponenti della scuola genovese. Cosa significa aver fatto parte di questa categoria e come la definirebbe oggi?

«La vecchia scuola genovese indica un mondo particolare che ha avuto grande successo dagli Sessanta in poi e ha sfornato tanti talenti che ci hanno lasciato da sognare per almeno altri cento anni. Naturalmente sono molto orgoglioso di farne parte. Oggi la scuola genovese conta nuovi talenti, come ad esempio Zibba, che è anche il mio ponte verso le nuove generazioni. Lui è uno degli esponenti più forti dell’attuale scuola, che noi definiamo “genovese” forse in riferimento al nostro mare o al nostro caratteraccio, ma sta a indicare qualcosa di più vasto».

 

Gran parte della sua vita è legata ai New Trolls, con i quali ha avuto un esordio del tutto particolare. Come è andata veramente?

«Era il 1967 ed eravamo molto giovani, all’epoca ci chiamavamo ancora I Trolls e mio padre aveva un grande ristorante sul mare che usava per conoscere dei discografici da presentarmi. Ebbene, il primo contratto che ci trovò fu quello di aprire i concerti dei Rolling Stones. Li seguimmo in tour e imparammo da loro tante cose; a volte non basta scrivere belle canzoni ma bisogna anche saper stare su un grande palcoscenico. E gli Stones ci sapevano stare eccome. Proprio dopo questa esperienza diventammo i New Trolls».

 

Come è nata la collaborazione con Fabrizio De Andrè e il primo disco dei New Trolls?

«Ho conosciuto Fabrizio De Andrè al Lido di Genova in Corso Italia. Lui aveva nove anni più di me e quando lo vedevo arrivare prendevo la mia piccola chitarra di plastica e lo inseguivo per fargli sentire le mie “follie”. Lui mi ascoltava volentieri, o almeno così credo, ma allora non avrei pensato che pochi anni dopo avrebbe scritto i testi del primo album dei New Trolls “Senza orario senza bandiera”, con poesie del poeta genovese Riccardo Mannerini ».

 

Perché questo dico è così importante per la musica italiana?

«Perché si tratta di un concept album, ovvero un disco con un unico concetto che lega tutte le canzoni. Fino ad allora gli album erano composti dai singoli, i famosi 45 giri, brani diversi l’uno dall’altro con nessun nesso tra di loro. Noi siamo stati i primi in Italia a creare un filo conduttore tra tutte le canzoni del disco, in questo caso il tema del viaggio, durante il quale incontravamo personaggi che via via diventavano protagonisti delle canzoni. Ci ispirammo al “Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band” dei Beatles, uscito un anno prima».

 

Ci racconta un aneddoto del suo rapporto con Faber?

«Un giorno gli chiesi di scrivermi una canzone per Sanremo. Era scettico, mi rispose che lui al Festival non ci sarebbe mai andato, però il testo lo fece e lo firmò con uno pseudonimo. La canzone si chiamava “Faccia di Cane” e nel 1985 vinse il premio della critica come miglior testo della manifestazione, senza  che nessuno sapesse che a scriverla fosse stato Fabrizio De Andrè».

 

Tra i tanti momenti vissuti con i New Trolls, l’incontro con il compositore Luis Bacalov è forse il più importante. In che modo cambiò le vostre vite?

«La collaborazione con Luis Bacalov è stata un vero e proprio punto di svolta. Il primo “Concerto Grosso” fu nel 1971 e univa due mondi apparentemente distanti come la musica barocca e il rock. Scrissi le musiche e i testi insieme a Bacalov e pubblicammo il nostro terzo disco “Concerto Grosso per i New Trolls”. Il successo della fusione fra rock e classica portò i New Trolls a esibirsi in tour mondiali, ai quali poi seguirono altri concerti grossi. Ancora oggi, a distanza di così tanti anni, questa formula mi fa girare il mondo: non vado in Giappone, Korea e Messico con “Quella Carezza della Sera”, ma con il “Concerto Grosso” ».

 

Quali altri ricordi custodisce degli anni trascorsi con i New Trolls?

«Ce ne sono tantissimi. Alla fine degli anni Settanta, durante il Festival di Sanremo, amavamo fermarci a suonare in un localino ai piedi del Casinò. Una sera arrivò un certo Stevie Wonder e si mise alla batteria a suonare insieme a noi: fu indimenticabile. Anche le esperienze al Festival sono bei ricordi, soprattutto quando nel 1996 partecipammo con Umberto Bindi con la canzone “Letti”».

 

In cinquant’anni di carriera ha anche inciso un disco in genovese e scritto canzoni per la sua squadra del cuore. Come è il suo rapporto con Genova e con i genovesi?

«Nutro per la mia città un immenso amore. Genova è la mia casa, il mio mare, la mia gente. È il mio dialetto, che sostengo e difendo con tutte le forze, da qui l’idea di incidere“Mandilli” interamente in genovese. Con i cittadini ho un rapporto splendido, ma con una parte di Genova, si sa, ho un legame ancora più speciale. La Sampdoria fa parte della mia vita da sempre, ancora oggi mi regala forti emozioni. Nel 1991 incisi un album di canzoni blucerchiate per festeggiare l’epoca d’oro, ancora oggi le sento cantare a squarciagola dai tifosi ogni domenica prima della partita. Sentire “Lettera da Amsterdam” intonata da uno stadio intero, anche dai più giovani, è per me una grande gioia. E poi rimane una delle canzoni d’amore più belle che abbia mai scritto».

 

 

Fotografie di Emilio Scappini

 

 

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