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IL FUOCO IN UNA STANZA, IL COLLETTIVO “INTIMO MA NON MATURO” DEGLI ZEN CIRCUS

Comincia da Genova l’instore tour degli Zen Circus, che torneranno nella Superba il 21 aprile per il Supernova Festival
GENOVA – Sono quasi vent’anni che gli Zen Circus, band toscana dall’inguaribile indole gitana di «scavalcamontagne inarrestabili», non si fermano per riprendere fiato. A settembre hanno concluso il tour di “La terza guerra mondiale” salutando i fan con un «non ci vedrete per un po’»”; venti giorni dopo hanno annunciato il ritorno in studio. Venerdì 2 marzo, a neanche sei mesi da quell’ironico congedo, Andrea Appino (voce e chitarra), Massimiliano “Ufo” Schiavelli (basso), Karim Qqru (batterista, assente alla presentazione perché bloccato a Milano dal Maltempo) e il Maestro Francesco Pellegrini (chitarra), ripartono da Genova a bordo di un camper per presentare, nelle Feltrinelli di tutta Italia, “Il fuoco in una stanza”. Frutto di un’ondata di creatività che li ha portati a scrivere canzoni nel bel mezzo del tour, l’album scava nel profondo del Circo Zen, che mai si era mostrato così intimamente.
Per registrare “Canzoni contro la natura” avete impiegato 8 giorni, per “La terza guerra mondiale” un anno e mezzo. Neanche il tempo di finire il tour di questo che esce “Il fuoco in una stanza”: com’è stata la gestazione?

La copertina di “Il fuoco in una stanza”. Credit: Ilaria Magliocchetti
Appino: «Nonostante “Il fuoco in una stanza” sia uscito un anno e mezzo dopo la “Terza Guerra Mondiale”, ci abbiamo lavorato molto di più rispetto a quelli precedenti. La “Terza Guerra Mondiale” l’abbiamo chiuso cinque mesi prima che uscisse, ma subito dopo sono arrivate canzoni nuove, che ormai non potevano più entrarci.
Ufo: Ci siamo chiesti se fosse il caso di entrare subito in studio, e la risposta è stata immediata. Avevamo un bel concetto, un’idea e un suono in mente, perché non avremmo dovuto farlo?»
Come dite nella canzone che dà il titolo all’album, “per tre anni abbiamo chiuso il mondo fuori, stiamo diventando i nostri genitori”. Cosa è cambiato?
A: «È brutto dirlo così, ma è il disco dei miei quarant’anni. Ma non quello della maturità: la frutta quando matura cade dall’albero, e marcisce. Ci sono tante implicazioni in più rispetto ai lavori precedenti: per quanto riguarda la scrittura, l’individualismo, arte fondamentale degli Zen, viene meno quando ti servono gli altri per riconoscere te stesso».
Le “Catene” di cui parlate nel primo singolo di quest’album, insomma.
A: «Esatto, e per fare questo hai bisogno di uno specchio dove ci sono anche gli altri, e capire che le catene che ti uniscono con gli altri sono parte di quello che sei».
L’intervista integrale agli Zen Circus
La musica per voi ha sempre avuto un senso sociale. In questo album, molto intimo, come avete declinato il collettivo?
A: «Il sociale in questo album è visto dai salotti, dalle stanze. Abbiamo voluto essere il più veritieri possibile, in modo da non chiuderci a riccio. Come dicevamo prima, per tre anni hai chiuso il mondo fuori, e sei diventato quello che non volevi. Ci è sembrato giusto affrontare questo tema, in fondo i vecchi – ride – fanno cose che non hanno mai fatto».
Tutti vogliono avere successo e gloria, ma Luca ed Emily no. Chi sono, o chi rappresentano?
A: «Luca è un mio vero amico, con cui ho passato l’infanzia e l’adolescenza, e che a un certo punto ha deciso di staccare i ponti. La sua storia è un ricordo personale, ciò che volevo esprimere è nella canzone. “Caro Luca” è una lettera che, come canto nella prima strofa, è un pretesto per parlar con me stesso. “La gloria è bastarda, per averla alla fine / devi piacere a tutti / ma tutti no”, a noi non sono mai piaciuti. Ci riconosciamo molto in questo, ma non siamo contrari all’idea che un progetto non debba puntare ad avere visibilità. Semplicemente così com’era nei momenti passati con Luca, così è oggi. Quello che piace a tutti ci fa un po’ paura, ci facciamo un po’ paura anche noi».
Ed Emily?
A: «Emily non esiste, è il risultato di un post concerto in un albergo di estrema provincia, in cui ci ritrovammo a bere vodka con i fan. Bevevamo e chiacchieravamo, e così mi sono immaginato Emily».
Il Maestro Pellegrini è entrato negli Zen Circus per il tour di “La terza guerra mondiale”, ora è diventato a tutti gli effetti il quarto Zen. Com’è stato registrare con il Maestro e Maestro, com’è stato registrare col Circo Zen?
Maestro Pellegrini: «Per me lo studio è un’esperienza che non vivevo da tempo, l’ultimo disco registrato come membro di una band era il secondo dei Criminal Jokers, nel 2012. Questa è stata un’opportunità importante, che mi ha permesso di riscoprire un lato importante della musica che avevo un po’ perso».
A: «Galeotto fu il mio disco da solista, “Grande Raccordo Animale”, in cui il Maestro registrò le chitarre. Ma ci conoscevamo già dal 2009, dal primo disco dei Criminal Jokers, me lo presentò Motta. Nel tour del “Grande Raccordo Animale” abbiamo fatto trenta date io e lui da soli, e da lì non ci potevano più separare».
U: «Poi permette di liberare Andrea dalle difficoltà di suonare due chitarre dal vivo. Il Maestro non è mai stato un turnista, non ne abbiamo mai cercato uno. Ora non solo è il quarto Zen – ride – ma è il capo della band».

Su Giulio Oglietti
Cresciuto tra la nebbia e le risaie del Monferrato, è a Genova dal 2013. Laureato in Informazione ed editoria, collabora con GOA da luglio 2017. Metodico e curioso, è determinato a diventare giornalista. ogliettig@libero.it3 Commenti
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