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FONDAZIONE LUZZATI -TEATRO DELLA TOSSE LANCIA UN GRIDO DI ALLARME: «NEL MONDO DELLA CULTURA REGNA L’INCERTEZZA, SIAMO ANCORA IN PIEDI GRAZIE AL NOSTRO PUBBLICO»
Il direttore Amedeo Romeo spiega le principali difficoltà della Fondazione legate all’emergenza Covid-19: «L’online ci ha permesso di imparare a conoscere le nuove tecnologie, ma il rapporto performer-spettatore non è lo stesso. Ogni volta che si discute di riaperture e il nostro settore non viene menzionato si apre una ferita»
GENOVA – Non dimenticarsi dell’importanza della cultura per la nostra società. Il Teatro della Tosse, tramite il suo direttore artistico Amedeo Romeo, manda un messaggio forte alle istituzioni e al proprio pubblico. Nei mesi della pandemia la necessità di reinventarsi nell’immediato per trasferirsi sul web e le difficoltà dovute all’impossibilità di programmare a lungo termine hanno complicato i piani della fondazione.
Gli aiuti economici sono esigui, ma il Teatro della Tosse resiste e lo fa soprattutto grazie all’energia del suo pubblico. Durante i mesi della temporanea riapertura estiva la risposta è stata forte. Gli spettatori hanno dimostrato di avere un bisogno fisiologico della platea tornando in gran numero, nonostante tutte le preoccupazioni legate alla pandemia. Sul futuro, tuttavia, regna ancora l’incertezza e nessuno ha risposte immediate da dare. In un periodo così complesso per gli spettacoli dal vivo, Goa Magazine vuole dare voce ai protagonisti del movimento culturale genovese, per evitare che cadano nel dimenticatoio.
Come state vivendo questo momento? Quali sono le maggiori difficoltà riscontrate dal Teatro della Tosse?
Il problema principale è l’incertezza, che rende tutto molto complicato. L’attività teatrale ha necessariamente bisogno di determinati tempi e deve essere programmata a lungo respiro. Sia la parte di produzione, per immaginare, provare, produrre e mettere in scena, sia la costruzione di una stagione teatrale di ospitalità, che richiede del tempo. Si crea un controsenso insolubile perché da un lato bisognerebbe guardare molto lontano, dall’altro questo si rivelerebbe un esercizio vano perché non si sa cosa succederà. La responsabilità dell’assenza di certezze non può essere ascritta a nessuno, sia chiaro.
Un’altra situazione di difficoltà, che ci provoca un grandissimo dispiacere, è quella di non poterci relazionare con il nostro pubblico nel modo in cui siamo abituati a farlo.
Sono arrivati concreti aiuti per affrontare l’emergenza? Se sì, sono sufficienti?
La categoria cui si fa riferimento a livello ministeriale parlando di Teatro della Tosse è quella di teatro di rilevante interesse culturale. Pertanto, siamo sostenuti da finanziamenti del MiBACT e per l’anno in corso abbiamo ricevuto il contributo per intero. Questo non copre le nostre esigenze al 100 %, ma circa un quarto di esse. I contributori principali (Regione, Comune, Compagnia di San Paolo) ci hanno permesso di rimanere in piedi. Non abbiamo ricevuto altre forme di ristoro se non in misura molto limitata. Un esempio, il credito di imposta equivalente ai costi sostenuti per gli affitti: sono cifre irrilevanti rispetto alla perdita.
La struttura regge, anche se molto faticosamente, sfruttando al massimo i momenti di apertura. La grossa difficoltà sta nel fatto che non si possa produrre materiale nuovo per dare lavoro agli artisti. Noi cerchiamo di utilizzare il più possibile tutte le risorse ricevute, ma non sono sufficienti per garantire il livello occupazionale abituale.
Nel post-lockdown della scorsa primavera teatri, musei e cinema erano stati riaperti a partire dal 15 giugno. Questa decisione è stata per voi una boccata d’aria o lo sforzo per far rispettare le norme sanitarie ha reso i costi superiori ai benefici?
È stata una boccata d’aria perché abbiamo visto quanto il pubblico avesse voglia di seguirci. Non in termini economici, perché è stato faticoso, ma in termini di progettualità e relazione con gli spettatori. Il pubblico ci ha spronati ad andare avanti e non arrenderci. In un momento di preoccupazione, gli spettatori sono venuti a teatro, hanno dimostrato che ne hanno bisogno.
A proposito del pubblico: quando, si spera presto, si tornerà a una condizione di normalità, si aspetta una maggiore fidelizzazione dovuta al lungo periodo lontano dal palco?
Aspettarmelo no, ma abbiamo avuto dei segnali che ci dicono che potrebbe succedere. La sensazione è che il pubblico abbia sentito il bisogno del teatro e per questo forse tornerà con maggiore entusiasmo.
Il Teatro della Tosse nel periodo di chiusura ha trasferito la propria attività online. Come sta andando? Qual è stata la risposta?
La scelta è stata di non andare online con contenuti ripresi e mandati in modo piatto. Abbiamo cercato di immaginare dei prodotti ibridi che possano in qualche modo essere una nuova forma di rappresentazione che incrocia gli attori con le nuove tecnologie in uno spazio nuovo. Abbiamo immaginato forme di spettacolo che fossero il più possibile in relazione con gli spettatori : incontri, chiacchierate, tavole rotonde, iniziative ad hoc per il pubblico del web. Forme che non fossero semplice riproduzione di uno spettacolo da palco, ma nuove suggestioni artistiche, interazioni ed approfondimenti che riflettono sulla contemporaneità. Questa è un’occasione per ripensare al rapporto tra l’uomo e la tecnologia e capire meglio qualcosa che ormai ha invaso la nostra società.
Dopo l’entrata in vigore del Dpcm datato 4 novembre che ha sancito la chiusura di teatri cinema e musei, del mondo della cultura non si è praticamente più parlato. Alla luce di quanto detto in precedenza, dell’atmosfera di incertezza che si percepisce, ritiene che ipotizzare una data di riapertura realistica per i teatri sia impossibile?
È impossibile perché anche noi, come tutti, siamo in attesa dei decreti. Al momento siamo chiusi fino al 15 gennaio, ma non pensiamo minimamente di riaprire il 16. Credo riapriremo più avanti, ma non si può dire quando. L’incertezza di cui parlavo inizialmente fa riferimento soprattutto a questo. Se ci dicono tre giorni prima che riapriremo, non abbiamo il prodotto congelato, pronto da mostrare, non siamo una fabbrica che ha fermato le macchine. Una progettazione è necessaria, dobbiamo riflettere su quel che è successo, su di noi. Ci vuole un tempo per ripartire, di rielaborazione. Non facciamo intrattenimento, ci deve essere anche una riflessione sul presente e questa non può essere fatta in poco tempo.
L’emergenza sanitaria ha inevitabilmente sconvolto i piani dei teatri. In questi mesi in cui tutti si sono trovati costretti a ripensare completamente la propria offerta, c’è qualcosa che il teatro ha imparato e potrà riutilizzare in futuro per migliorare?
Non so dire che cosa abbiamo già imparato, sicuramente stiamo studiando. Stiamo imparando a conoscere degli strumenti che non conoscevamo perfettamente. I mezzi per comunicare, per far sì che la tecnologia possa arricchire il nostro percorso. Questo rimarrà, e poi potremo scegliere se utilizzarli o meno. Non facendolo, avremmo fatto una scelta consapevole. L’utilizzo dei mezzi tecnologici, inoltre, ci permette, anche se potrebbe sembrare un paradosso, una nuova e strana intimità al rapporto con il pubblico, rompendo definitivamente la quarta parete e costringendoci tutti ad un confronto appunto più intimo, diretto e profondo, mai vissuto prima.
In particolare ci consente di entrare in relazione con le nuove generazioni che hanno una maggiore dimestichezza con tutti questi strumenti . Potremmo capire meglio il linguaggio di una generazione che avverte difficoltà a entrare nel mondo del teatro perché lo sente ostile. Non significa imparare da un punto di vista tecnico, ma acquisire una forma mentis, un modo di relazionarsi con le cose.
Quali sono le differenze tra teatro dal vivo e online?
Sono più le differenze rispetto alle similitudini. Quelle che principalmente mi sento di elencare sono due. La prima è la risposta fisica del corpo degli spettatori all’interno dello spazio. In teatro il corpo, il respiro, l’energia che arrivano dal pubblico vengono avvertite dal performer. Attraverso uno schermo questo non è possibile. La relazione può essere al massimo intellettuale, può avvenire con uno scambio di parole. Viene generata un’energia completamente diversa, sia dal punto di vista di chi agisce e di chi assiste. Questa differenza rimarrà sempre, non si può risolvere.
La seconda è la contemporaneità. L’evento online, perché possa avere un senso, deve accadere nel momento esatto in cui l’attore si sta esibendo e sul web non è così facile. Certo, la tecnologia permette la diretta, ma abbassa la qualità. Con il digitale occorre trovare un equilibrio tra diretta e qualità, che ancora non si è trovato, dal vivo non è necessario rinunciare a nessuno dei due elementi.
Quale appello vorrebbe fare alle istituzioni?
L’appello principale che mi sento di fare è di non dimenticare l’importanza della cultura. Ci sono tantissimi bisogni primari, ma una società si costruisce e funziona anche grazie ad essa. Non dimentichiamoci della sua importanza e lavoriamo tutti insieme affinché si possa ripartire con forza quando supereremo i problemi immediati. Non parlo solo di un punto di vista economico, ma anche di inserire nel discorso pubblico questo argomento. Ogni volta che c’è una conferenza stampa nella quale si discute su cosa riaprirà e il teatro non viene nemmeno citato, si crea una ferita. Tutto è importantissimo, non voglio fare una classifica, ma non possiamo dimenticarci del teatro, dei musei e della cultura, che sono fondamentali nella società.
Su Redazione
Il direttore responsabile di GOA Magazine è Tomaso Torre. La redazione è composta da Alessia Spinola. Il progetto grafico è affidato a Matteo Palmieri e a Massimiliano Bozzano. La produzione e il coordinamento sono a cura di Manuela BiaginiMessaggi correlati
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