ALL’IVO CHIESA “MOBY DICK ALLA PROVA”: IL CAPOLAVORO DI MELVILLE IN SCENA DAL 10 AL 14 APRILE

Di il 9 Aprile 2025

Lo spettacolo vedrà la trasposizione teatrale del celebre romanzo da parte di Orson Welles. Nei panni del capitano Achab il grande deja-vu di Elio De Capitani

GENOVA – Da giovedì 10 a domenica 13 aprile Elio De Capitani interpreta il capitano Achab
in “Moby Dick alla prova”, ospite al Teatro Ivo Chiesa nella stagione del Teatro Nazionale di Genova.
Il capolavoro di Melville nella trasposizione teatrale di Orson Welles, è stato messo in scena per la prima volta in Italia proprio da Elio De Capitani, per il teatro dell’Elfo, nella traduzione affidata alla poetessa Cristina Viti.

Moby Dick alla prova è uno spettacolo epico, dal respiro shakespeariano, accompagnato dalla musica dal vivo di Mario Arcari. Genova è l’approdo della tournée che ha toccato più teatri e riconoscimenti,
dopo il debutto, al Teatro dell’Elfo, nel gennaio 2022.

Da giovedì 10 a domenica 13 aprile | Teatro Ivo Chiesa

Moby Dick alla prova

di Orson Welles da Herman Melville; traduzione Cristina Viti

regia Elio De Capitani

interpreti Elio De Capitani, Cristina Crippa, Angelo Di Genio, Marco Bonadei, 

Enzo Curcurù, Alessandro Lussiana, Massimo Somaglino, Michele Costabile, 

Giulia Viana, Vincenzo Zampa

costumi Ferdinando Bruni

maschere Marco Bonadei

musiche dal vivo Mario Arcari

direzione del coro Francesca Breschi

suono Gianfranco Turco; luci Michele Ceglia

produzione Teatro dell’Elfo, Teatro Stabile di Torino – Teatro Nazionale

durata dello spettacolo: 2 ore e 15’ (compreso intervallo)

Da giovedì 10 a domenica 13 aprile, felice ritorno di Elio de Capitani – regista e protagonista – sul palcoscenico del teatro Ivo Chiesa con Moby Dick alla prova, spettacolo coprodotto dal Teatro dell’Elfo di Milano insieme al Teatro Stabile di Torino, ospite del Teatro Nazionale di Genova.

Tutto inizia a metà anni ’50 del secolo scorso quando Orson Welles, decide di riscrivere in versi sciolti il Moby Dick di Herman Melville, tra i romanzi entrati a far parte del “patrimonio mondiale della letteratura”. Il risultato per la scena fu la creazione di un nuovo capolavoro, epico e dal respiro shakespeariano. 
Il Moby Dick di Welles debuttò il 16 giugno del 1955 al Duke of York’s Theatre di Londra, su un palco praticamente vuoto, essenziale, senza alcuna parvenza di flutti, capodogli o navi. Davanti al pubblico recitava una compagnia di attori e lui stesso a ricoprire quattro ruoli, Achab compreso.

Nonostante ciò, la sfida di portare in teatro il romanzo di Melville fu vinta e Welles ebbe il merito di connettere la tragedia di Re Lear e Moby Dick, gettando un ponte tra l’ostinazione del re shakespiriano e l’incessabile rovello del capitano del Pequod alla ricerca della balena bianca.

Elio De Capitani qui regista e attore, ha ideato e portato per la prima volta in Italia la drammaturgia di Orson Welles, dedicandola alla memoria del regista Gigi Dall’Aglio. Lo spettacolo, che ha debuttato l’11 gennaio 2022 all’Elfo Puccini di Milano, approda a Genova alla fine di una lunga tournée che ha attraversato più stagioni.

Elio De Capitani veste i panni di un Achab «introverso e perduto nella sua ossessione», guida una ‘ciurma’ di attori e musicisti alla ricerca di Moby Dick, partendo dalla suggestione metateatrale di una compagnia d’attori che sta provando il Re Lear di Shakespeare. Emergono caratteri, attitudini, sentimenti di ogni singolo interprete. Ma poi, pian piano, il regista cambia progetto e decide di dedicarsi a un altro capolavoro: Moby Dick di Herman Melville. 

Dalle note di regia di Elio De Capitani

«Una duratura e magnifica ossessione quella di Orson Welles per Moby-Dick. E finalmente il 16 giugno 1955, al Duke of York’s Theatre di Londra, Welles può lottare personalmente con le sue balene bianche: Melville, il palco vuoto e la sala piena di spettatori. È un successo strepitoso: “questo spettacolo è l’ultima pura gioia che il teatro mi abbia dato”. Eppure, al pubblico non dà né mare, né balene né navi. Solo un palco vuoto, una compagnia di attori, sé stesso in quattro ruoli, Achab compreso, e il suo testo, su cui aveva lavorato per mesi, trovando una via indiretta per accettare la sfida impossibile del Moby-Dick di Melville: passare per Lear, lo spettacolo che la compagnia sta recitando ogni sera, che getta un ponte tra Melville e Shakespeare, scivolando dall’ostinazione di Lear – che la vita, atroce maestra, infine redimerà – a quella irredimibile, fino all’ultimo istante, del capitano Achab. Il blank verse di Welles – per noi splendidamente tradotto dalla poetessa Cristina Viti, milanese di nascita ma londinese d’adozione – restituisce con forza d’immagini potenti la prosa del romanzo, trasformando rapidamente l’iniziale entrare e uscire dal personaggio, che il capocomico Welles e i suoi attori fanno come ogni compagnia in prova, in una travolgente e intensa rappresentazione totale dello scontro, titanico e insensato, tra uomo e natura. 

Oltre alla traduzione, un secondo potente motore di questa nostra versione del capolavoro di Welles (la prima in Italia) è una ciurma d’attori più che pronti alla sfida: un cast che rappresenta la saldatura tra le eccellenze artistiche di tre generazioni dell’ensemble dell’Elfo, (dove anche molti dei giovani sono artisti pluripremiati), e che ha lavorato in pieno lockdown all’Elfo Puccini di Milano, ritrovando, nella difficoltà del momento, l’assoluta concentrazione d’un ritiro totalizzante, da eremo, che solo la vita ferma fuori le mura del teatro ci ha per una volta concesso. Terzo potente elemento è la musica, composta e suonata dal vivo da Mario Arcari: è una portentosa generatrice di emozioni profonde, sia nelle esecuzioni strumentali che nei cori e nei Sea shanties diretti da Francesca Breschi. Ed è così che il capodoglio bianco ha preso la nostra vita. Da quando abbiamo iniziato a portare sulla scena Moby Dick alla prova di Orson Welles, la duplice natura del grande mammifero marino ci tormenta. Il controcanto a quest’odio iperumano sta proprio nel cuore del romanzo di Melville e lo abbiamo voluto anche nel cuore della nostra versione scenica: 

Dicono che spesso, da che più feroce e spietata si è fatta la caccia, le balene in enormi branchi solchino gli oceani per darsi l’un l’altra protezione e assistenza. (…) se vi inoltrerete fino al cuore del branco dove giungono attutiti il clamore e lo spumeggiare delle onde, lì la distesa del mare vi apparirà come una levigata tela di raso (…) Lì femmine e cuccioli giocano innocenti, pieni di gioia e senza timore o diffidenza alcuna. E se il vostro sguardo si spinge giù, giù, in quella trasparente profondità, lì in quelle caverne d’acqua vi appariranno le sagome delle balene che danno il latte e di quelle prossime a partorire. E come i neonati umani quando poppano puntano il loro sguardo tranquillo e fisso lontano dal seno, come se si nutrissero ancora di qualche loro memoria ultraterrena, così i piccoli di quelle balene vi guarderanno, ma non voi veramente, come se al loro occhio tranquillo voi non foste che un pezzetto di alga nel golfo

Quindi è la natura dell’uomo a essere duplice, non quella della grande balena. Oltraggiosa e irrefrenabile natura, oscena come lo era la teologia baleniera, inventata come alibi perfetto dai quaccheri di Nuntucket, che suonava così: Dio ha fatto il Capodoglio per l’uomo e ha previsto ogni suo bisogno, dotando quella bestia, più ancora di tutte le altre balene, di quanto ci serve per vivere confortevolmente. E allora la caccia divenne industria e l’olocausto marino fece da eco a quello terrestre dei bisonti, allo scempio – nel mondo – che l’uomo fece e fa della natura e di interi popoli, sterminandoli o schiavizzandoli. Ma Achab, come Kurtz in Cuore di tenebra, per devastare la natura soggioga i suoi simili e ne fa strumento del suo odio, con estrema facilità. Vitalismo rapace, prepotentemente – ma non esclusivamente – occidentale, che rappresenta quella metà dell’umanità che ci porta al disastro, al gorgo mortale che inghiotte la Pequod. Siamo alla sesta estinzione di massa, siamo al riscaldamento globale, siamo sull’orlo del baratro e continuiamo a correre. Generando odiatori meno mitici e tormentati ma altrettanto ferali di Achab. Riascoltando le cronache del G8 di Genova venti anni dopo, impressiona la follia repressiva che offese i corpi, segnò le menti e colpì le idee di quell’imponente movimento trasversale che aveva a cuore il destino del pianeta e dei popoli.

Diciamolo: Moby-Dick parla di noi, oggi. Ne parla come solo l’arte sa fare. Cogliendo il respiro dei secoli – tra passato e futuro – nel respiro di ogni istante della nostra vita».

Moby Dick alla prova – Teatro Ivo Chiesa, da giovedì 10 a domenica 13 aprile: 

giovedì e sabato ore 19.30; venerdì ore 20.30; domenica ore 16

Info e biglietti telefono 010 5342 720

e-mail teatro@teatronazionalegenova.it; biglietti.teatronazionalegenova.it

C.S.

Su Redazione

Il direttore responsabile di GOA Magazine è Tomaso Torre. La redazione è composta da Alessia Spinola. Il progetto grafico è affidato a Matteo Palmieri e a Massimiliano Bozzano. La produzione e il coordinamento sono a cura di Manuela Biagini

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