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CHARLIE RISSO PRESENTA IL NUOVO EP “THE LIGHT”: «LA METAFORA DI UN’EVOLUZIONE CREATIVA E SPIRITUALE. SONO ARRIVATA NEL MONDO IN CUI MI TROVO»
Cantautrice e musicista genovese, dopo aver esordito con un album nel 2016 ed essersi esibita su palchi londinesi e americani, racconta al nostro giornale il suo nuovo lavoro in stile indie/dream pop/rock uscito il 4 novembre
GENOVA – Un viaggio tra sogno e materia, un’evoluzione ad uno stadio superiore, un ritorno alle piccole cose. Questo il focus attorno al quale ruota The Light, la nuova narrazione della cantante e chitarrista Carlotta Risso, in arte Charlie Risso, nata a Genova nel 1977 e autrice dal 2016 di brani folk e pop.
Da venerdì 7 ottobre 2022 è disponibile su tutte le piattaforme digitali l’inedito di Charlie The Light, che ha anticipato l’omonimo EP, uscito il 4 novembre 2022, prodotto da Federico Dragogna dei Ministri e Mattia Cominotto, pubblicato da Incadenza e distribuito da Sounzone. In occasione della data di uscita dell’EP The Light, sabato 5 novembre 2022, si è tenuto anche un concerto in trio semiacustico presso il liutaio genovese Paolo Sussone, in piazza Campetto.
La musica di Charlie Risso ha una grande potenza evocativa e un forte valore spirituale e metaforico. La sua passione è nata a Genova quando era una ragazzina e ha cominciato a cantare con la band Zella Funky Nostos, ma si è trasformata in un vero e proprio mestiere solo dopo l’uscita del suo primo album, Ruins of Memories, nel 2016.
Goa Magazine ha voluto ascoltare la sua storia di amore e dedizione, partendo dal principio.
Charlie, oggi dopo l’uscita dei tuoi due album Ruins of Memories e Tornado, sei una cantante affermata che calca i palchi del mondo, ma com’è cominciato tutto?
Il punto di partenza, l’origine ancestrale, possiamo dire che è quello che uno ha dentro. Da bambina sono sempre stata innamorata della musica, da ragazzina, a più o meno 14 anni, avevo questo registratore a cassette, memorizzavo delle melodie e le imprimevo sulle cassette che dovrei ancora avere da qualche parte.
È difficile cominciare questo tipo di percorso in un mondo, in una città, in cui il lavoro vero è una cosa, la musica deve rimanere un’altra, una passione. Io pur avendo sempre cantato, ho dato una vera svolta alla mia vita solo nel 2016 con l’uscita del mio primo disco Ruins of memories. Grazie al riscontro positivo, del tutto inaspettato, sia di critica che di pubblico, mi sono decisa, dopo quattordici anni trascorsi in parallelo come decoratrice, di dedicarmi da quel momento in poi solamente alla musica, per darle il tempo, l’amore, la dedizione che occorrono per fare bene una cosa. Direi che è cominciato tutto così.
Il tuo genere musicale è definito ma al tempo stesso eclettico, cosa ti ha portato ad accostarti proprio ai generi folk rock e dream pop? Ci spieghi cosa si intende con questi nomi?
Alcuni dei miei brani presi voce e chitarra sembrano in effetti dei brani celtici folk che, arrangiati poi con la collaborazione del mio produttore Mattia Cominotto, portano a questa fusion tra folk ed elettronica. Il dream pop fonde appunto il genere pop, che tutti conosciamo, con queste atmosfere un po’ sognanti, con sonorità estese, eteree, e un tocco di elettronica.
Ai tempi ho presentato Ruins of memories, nel 2016, con sola voce e chitarra, mentre invece i lavori successivi, quindi nel 2020 Tornado e nel 2022 l’EP The Light, li ho presentati prearrangiati e preprodotti con un programma che uso spesso, Garageband. Pur essendo una semplice app, è comoda e immediata, la posso usare quando sono in viaggio su un treno o alle poste che aspetto il mio turno, se mi viene un’ispirazione posso prendere il cellulare e buttare subito giù qualche idea.
È uscito il 7 ottobre il tuo inedito The Light, che anticipa l’omonimo EP, ed è stato definito un brano “tra glitch music e pop etereo, con sonorità elettroniche nordiche e sospese”, troveremo anche all’interno degli altri brani questa atmosfera sospesa?
Sicuramente il comune denominatore, anche con il produttore Federico Dragogna, chitarrista de I Ministri, è questa atmosfera che avvolge tutto, questo mondo etereo. Poi ci sono dei pezzi più ritmati, che asseconderanno i gusti di quei miei amici che mi dicono sempre ‘Ma non potresti fare qualcosa di un po’ più movimentato?’. Chi ha bisogno di un po’ più di ritmo nelle vene sarà accontentato con ad esempio Into the forest, forse una delle mie tracce preferite.
Il videoclip di The Light diretto da Emanuele Cova, di cui tu sei la sola protagonista, con un alternarsi di bianco e di nero, di luce e tenebra, di bene e male, sembra quasi un tuo viaggio spirituale. Ci racconti il suo significato?
Alla fine è un po’ così. È sicuramente una metafora anche per l’evoluzione creativa e ciò che uno cerca di rappresentare quando si sente più a suo agio nel mondo in cui si trova. Quindi sono arrivata nel mondo in cui mi trovo, a mio agio con me stessa e con il modo di far musica che ho e che ho imparato a sviluppare.
Nello stesso tempo è sicuramente un messaggio positivo, di cui abbiamo bisogno in un mondo veramente difficile, dove ci sentiamo spesso impotenti e decidiamo di non scegliere. È un messaggio molto semplice, le scene più scure rappresentano le difficoltà terrene, spesso siamo talmente assorbiti dal quotidiano che pensiamo che sia una questione di vita o di morte e perdiamo di vista l’importanza delle cose.
The Light è un’evoluzione a uno stadio superiore, a una coscienza di se stessi e al momento in cui si sceglie di spogliarsi dalle cose futili e materiali, e si scopre che la verità sta nella semplicità delle piccole cose e nella nostra capacità di saperle apprezzare. Questa canzone l’ho scritta dopo una riflessione legata ad una lettura che mi ha colpito molto, “La vita dopo la morte” di Yogi Ramacharaka, che riflette proprio su questo tema.
Mi hanno chiesto anche come mai ci sia tanta natura, nel mio EP, nelle descrizioni e nei titoli dei miei pezzi. Per me la natura è la base, le fondamenta di noi esseri umani. La natura rigenera, bisogna darle il giusto peso, ti insegna a godere delle piccole cose, e questo è un po’ il messaggio di The Light, arrivare ad avere coscienza di cosa importa davvero.
Come è stato girato il videoclip?
È stato tutto girato negli studi di Overclock a Milano dove tra l’altro anche I Ministri hanno girato il loro ultimo video di “Peggio di niente”, il cui regista, Marco Pellegrino, ha diretto anche tre dei videoclip del mio album Tornado. È stato girato tutto con il green screen, sono stati portati albero e terra, realizzando tutto dal vero e con un lavoro incredibile di scontorno da parte dei coloristi.
Per i tuoi album precedenti, come ad esempio “Tornado”, sei stata accostata alle sonorità di Dolores O’ Riordan dei Cranberries, Lana Del Rey, Nick Drake e Mazzy Star. Sono artisti di riferimento per te? Quali voci hanno avuto maggiore influenza sulla tua formazione artistica?
Questi artisti rappresentano sicuramente una parte delle influenze che ho avuto, sicuramente Mazzy Star e poi tutto il mondo Portishead, ascoltavo moltissimo Enya, amavo i Cranberries, che erano una fusione di folk e rock. A me piace moltissimo anche il rock, magari nelle mie canzoni viene poco fuori, ma c’è una parte di me che è un’anima rock. Da Neil Young ai Led Zeppelin, che stamattina ho messo a palla in soggiorno, ai Radiohead, c’è di tutto negli ascolti. È un’influenza anche inconscia, poi c’è l’armonia e l’armonizzazione delle voci, che sicuramente viene anche da Simon & Garfunkel. Poi ci sono le voci contemporanee, come ad esempio Lana Del Rey, ma anche Angel Olsen, Sharon Van Etten. Mi piacciono anche band meno main stream in Italia, famose però all’estero, come i Madrugada, una band alternative rock norvegese.
Ti sei esibita a Parigi, Londra, San Francisco e Nashville, quindi in questi anni sei salita sul palco cantando in inglese. Hai mai provato a scrivere anche qualcosa in italiano o ti senti più a tuo agio con i testi in inglese?
Mi sento più a mio agio con l’inglese perché come prima cosa è più musicale, non nascondiamolo, da un lato forse è anche più semplice, e poi mi piace mantenere le relazioni anche con gli amici non italiani, avere la possibilità di comunicare in più ampia scala e arrivare altrove. Il primo motivo però è un istinto direi naturale, è come se ci fosse qualcosa di me, magari una vita precedente, che mi lega molto alla lingua inglese e che mi rende più facile dire delle cose. È il modo migliore per fare outing, per esprimere le emozioni, le sensazioni, le cose che mi accadono, in maniera più disinvolta.
Però non escludo nella vita di provare anche testi italiani, è che bisogna essere proprio all’altezza, l’italiano è una lingua che va usata con cautela. La musica italiana che preferisco è quella degli anni Sessanta perché era priva di virtuosismi, era naturale, se potessi reincarnarmi nello spirito di qualcuno probabilmente sarebbe quello di Battiato o De André. Federico Dragogna ad esempio è uno che scrive molto bene e quindi si può permettere di scrivere e cantare brani in italiano.
Ho sempre ascoltato tanta musica internazionale e questo lo devo ai miei genitori. Ci hanno portato in giro fin da piccoli e ci hanno abituati allo scambio internazionale, mio padre doveva viaggiare tanto per lavoro e noi fin da subito abbiamo dovuto parlare in inglese per entrare in contatto con i figli dei suoi clienti. E mio padre per di più mi ha portato i giradischi e i vinili, c’era John Denver, c’erano Simon & Garfunkel e tutto il mio folk americano, c’era Bob Dylan e i Beatles, fondamentali per me, Joni Mitchell. Quando ero a casa suonavo i Radiohead in cucina e a mia mamma piaceva tantissimo quando cantavo No surprises, è un ricordo molto dolce. Sono stati i miei genitori ad educarmi alla musica straniera.
Quest’anno hai partecipato ad una residenza artistica al Lake studio di Massaciuccoli insieme al musicista e produttore discografico australiano Hugo Race, già al fianco di Nick Cave nei Bad Seeds.
Quest’anno hai partecipato ad una residenza artistica al Lake studio di Massaciuccoli insieme al musicista e produttore discografico australiano Hugo Race, già al fianco di Nick Cave nei Bad Seeds.
Io ho avuto la fortuna di essere contattata da Hugo Race, primo chitarrista dei Bad Seeds, tramite Instagram. Un bel giorno ho ricevuto un messaggio che mi chiedeva di partecipare a questo progetto di qualche giorno in questa residenza artistica, a cui poi ha preso parte anche il bassista Gianni Maroccolo e Roberto Dellera degli Afterhours.
Io ho ovviamente accettato e mi sono preparata con due brani scritti apposta, dopo aver ascoltato Hugo Race e il suo desert rock dalle influenze americane. Ho mandato queste due tracce a Hugo Race via mail, al quale sono piaciute e che sono state l’inizio del lavoro insieme, registrate in un duetto con lui. Faranno parte del nuovo disco che dovrebbe uscire nel 2023 sul quale sto lavorando adesso.
Il 2022 è quindi stato un anno ricco di emozioni. Quali sono i tuoi progetti per il 2023?
Ci sarà appunto l’uscita di questo disco prodotto da Hugo Race e Nicola Baronti, dovremo programmare delle date, cercheremo di portare questo progetto fuori, per lo meno in Europa. Non vi voglio svelare il nome di questo nuovo album perché voglio fermarmi un attimo e celebrare il grande lavoro di Federico e Mattia perché oltre che essere dei professionisti sono anche degli amici e io mi sono trovata magnificamente con loro, voglio godermi questo momento e dedicarlo a The Light.
Per lanciare l’EP The Light per adesso in programma c’è una data presso un liutaio genovese molto conosciuto, Paolo Sussone, che ha lo studio in piazza Campetto, dove hanno suonato Jack Savoretti, Max Manfredi, Roberta Barabino. Quindi il 5 novembre, il giorno dopo l’uscita dell’EP saremo in trio semiacustico da Paolo. Siamo al lavoro per la costruzione delle date, penso che saremo in giro anche per festival.
Elisa Morando
Su Redazione
Il direttore responsabile di GOA Magazine è Tomaso Torre. La redazione è composta da Alessia Spinola. Il progetto grafico è affidato a Matteo Palmieri e a Massimiliano Bozzano. La produzione e il coordinamento sono a cura di Manuela BiaginiMessaggi correlati
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