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ELISABETTA POZZI: «VI RACCONTO LA MIA LADY MACBETH MODERNA E RIVOLUZIONARIA»
Intervista alla protagonista di Lady Macbeth – Suite per Adelaide Ristori, in scena al Teatro Modena fino al 3 aprile 2022
GENOVA – Il confronto è di quelli che non lasciano indifferenti. Elisabetta Pozzi, attrice genovese, artista poliedrica, formatasi al Teatro Stabile di Genova, riporta a teatro la figura Adelaide Ristori a 200 anni dalla nascita e la trasforma in Lady Macbeth (Lady Macbeth – Suite per Adelaide Ristori, produzione del Teatro Nazionale di Genova in programma fino al 3 aprile al Teatro Modena).
Attraverso una serie di flashback, incursioni storiche, spruzzate d’ironia, in una continua altalena tra commedia e dramma, l’attrice vincitrice nel 1992 del David di Donatello per il film di Carlo Verdone “Maledetto il giorno che t’ho incontrato”, porta in scena uno spettacolo diretto da Davide Livermore che oscilla costantemente tra storia e modernità, rievocazioni del passato e progresso. Ne nasce una recita dinamica, sorprendente, con frammenti storici puntuali risalenti al XIX Secolo (con riferimenti a Verdi, Dumas, l’Italia della censura, Cavour) ma contestualizzati in chiave moderna. Il risultato è maquillage che tiene lo spettatore inchiodato al palcoscenico e ammaliato dalla verve recitativa di un’artista completa.
Fantasmi, risate, flashback, trucchi magici, indagine storica, Shakespeare e l’Italia Risorgimentale. C’è tutto questo in Lady Macbeth – Suite per Adelaide Ristori. Elisabetta Pozzi, com’è nata l’idea di realizzare uno spettacolo che unisce tradizione e modernità dedicato ad un personaggio chiave della storia teatrale italiana?
Con Davide Livermore (regista, n.d.r) e Andrea Porcheddu (drammaturgo, n.d.r.) abbiamo pensato di realizzare uno spettacolo che rievocasse in modo originale la figura di Adelaide Ristori. Volevamo dare vita ad uno show non noioso ma vivo, dinamico con effetti speciali, batture ironiche e una scenografia che desse spazio all’immaginazione. Ristori d’altro canto, dalle informazioni che abbiamo raccolto, risultava essere un personaggio fuori dai canoni del tempo: si inventò dei gadget per promuovere i suoi spettacoli, creò addirittura un profumo con il suo nome. Non c’era dunque altro modo per celebrare diversamente un’artista come lei.
Nel descrivere la figura di Adelaide Ristori ci sono tre elementi che emergono durante la rievocazione storica del personaggio: quello di un’attrice girovaga abituata sin da bambina a seguire gli spettacoli dei genitori, anche loro attori. La ricerca dell’ordine e la catarsi dell’armonia che ha suscitato ad esempio in Eleonora Duse la prima volta che andò a vederla a teatro. E la capacità recitativa che non mutava anche durante l’interpretazione in lingua francese o inglese. Si può dire che Adelaide Ristori fosse un’artista più rivoluzionaria e avanguardista rispetto a quanto ci si possa aspettare?
All’epoca era normale che i figli di attori seguissero i genitori nelle loro trasferte di lavoro. Sicuramente la formazione di Adelaide fu molto condizionata dalla presenza della famiglia che ne influenzò carattere e tecnica recitativa. Quella del XIX Secolo era un’epoca in cui la distinzione tra uomini e donne era netta sul piano recitativo: Ristori con il suo modo di recitare fu capace di rompere questi schemi rifiutando anche il ruolo del suggeritore, figura che spesso accompagnava sulla scena il protagonista. Inoltre era un periodo in cui l’attore era il totale dominatore della scena a discapito di registi e scenografi. Venivano spesso deturpati testi classici e si creava un testo su misura del protagonista. Adelaide incarnava alla perfezione i canoni recitativi del tempo riuscendo a trasmettere al pubblico le stesse sensazioni sia che recitasse in spagnolo, in francese o in inglese. Almeno questo è quello che emerge dagli scritti e dalle recensioni che ci sono pervenute negli anni.
Lei ha iniziato la sua carriera teatrale con Giorgio Albertazzi. È stata diretta da alcuni dei più grandi registi teatrali come Luca Ronconi e Peter Stein. La sua carriera è stata caratterizzata da testi shakespeariani. Al cinema ha lavorato per Verdone e Ozpetek. Poi per il teatro ha recitato in opere di Cechov e Pirandello per poi interpretare delle eroine come Ecuba, Medea ed Elettra. Come si fa a passare da un genere ad un altro così diversi tra loro e tenere sempre viva l’attenzione del pubblico?
Nella mia formazione credo abbia inciso molto il tipo di teatro che mi ha formata e le grandi figure che ho incontrato nella mia carriera. Lei ne ha citate molte a cui aggiungo anche Romolo Valli, figura fondamentale nel mio percorso. Credo che la differenza la facciano la concentrazione, il fiato e lo studio. L’aver recitato spesso in spettacoli comici mi ha aiutata molto nella capacità di rispettare i tempi di recitazione e di cambiare genere in poco tempo. Tragedia e comicità hanno molti aspetti in comune come nella variazione dei toni. Ma anche l’allenamento e lo studio sono fondamentali: io ho iniziato a recitare molto presto, a 15 anni, e cercavo di apprendere il più possibile. Ricordo che quando potevo andavo a vedere qualsiasi tipo di spettacolo per apprendere tecniche e segreti.
Il suo nome è legato in maniera indissolubile a quello del regista genovese Marco Sciaccaluga scomparso poco più di un anno fa e per cui ha recitato ne “Il Gabbiano” nel 2017, ma anche nella “Buona Moglie” del 1987 e ne “La Bocca del Lupo” del 1980. Che ricordo ha di lui?
Con Marco ho condiviso le prime regie e i primi spettacoli. Pur essendo giovane era già un regista veterano, molto serio, preparato e scrupoloso nel lavoro. Vale quello che ho detto prima per la mia formazione da attrice: Marco studiava tutto il giorno per poter acquisire quella sicurezza e preparazione che trasmetteva ogni volta che dirigeva uno spettacolo. E poi era di una simpatia travolgente. Tutti gli volevano bene: dai tecnici agli attori agli sceneggiatori. A lui ho invidiato la costanza nel voler rimanere a Genova. Io sono stata più nomade deludendo anche lui stesso. Del resto il teatro era uno spazio molto inclusivo, quasi come una famiglia. Io all’epoca ero un’irrequieta e avevo necessità di vivere esperienze diverse, come quella della danza.
Ci possiamo aspettare un suo ritorno sul grande schermo o proseguirà con altri spettacoli teatrali?
Assolutamente no! Il teatro è stata la mia vita e continuerà ad esserlo. A parte qualche parentesi cinematografica che mi ha portato anche soddisfazioni (nel 1992 vinse un David di Donatello per la parte in “Maledetto il giorno che t’ho incontrato” di Carlo Verdone, n.d.r.) non mi piace rivedermi sullo schermo. Non mi piace nemmeno essere fotografata. Il palcoscenico è più immediato: vada come vada, la recita è stata quella.
Lei è anche Direttrice della Scuola di Recitazione del Teatro Nazionale di Genova, scuola a cui Sciaccaluga teneva in modo particolare. Come approcciano oggi gli aspiranti attori al palcoscenico?
Le difficoltà che ho riscontrato nelle nuove generazioni è nel riuscire a farle rimanere concentrate per 4-5 ore al mattino e altrettante al pomeriggio. D’altronde provengono da un’epoca diversa rispetto alla nostra e hanno usi e abitudini diverse con molte più fonti di distrazioni rispetto ai nostri tempi. E poi molti mancano di immaginazione. Non chiudono gli occhi e non si proiettano in una certa situazione per fingere di essere un’altra persona. Ecco, non hanno quella capacità di giocare che noi avevamo da ragazzi e che ci ha portati dove siamo oggi.
Su Tomaso Torre
Giornalista pubblicista dal 2003, è fondatore e direttore responsabile di GOA Magazine. Appassionato di arte, cultura e spettacoli ha collaborato per anni con diverse testate locali occupandosi di cronaca ed attualità, sport e tempo libero. “Ho sempre coltivato il sogno di realizzare un prodotto editoriale dinamico e fluido che potesse rispondere alle esigenze informative di un pubblico sempre più competente ed avanguardista”.Messaggi correlati
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