LO SPLENDORE E LA PUREZZA DEL TIBET NELL’ARTE DI HAN YUCHEN

Di il 2 Settembre 2019

Le opere del maestro cinese, per la prima volta a Genova in una mostra curata da Donatella Failla, saranno esposte a Palazzo Ducale

GENOVA – Un grande maestro della pittura a olio della Cina contemporanea, che da oltre dieci anni raffigura il Tibet e le sue genti, documentandone lo stile di vita tra inclinazione mistica, forza spirituale e stupefacente resilienza a condizioni climatiche estreme. Da giovedì 12 a domenica 29 settembre (dalle ore 10 alle ore 18) la Sala del Munizioniere di Palazzo Ducale (piazza Matteotti 9, Genova) ospita Splendore e purezza: il Tibet nell’Arte di Han Yuchen, prima rassegna personale di un maestro cinese a Genova, curata dalla professoressa Donatella Failla e patrocinata dal Comune di Genova. L’inaugurazione della mostra, che raccoglie più di cinquanta opere di Han Yuchen, si svolge mercoledì 11 settembre alle ore 18.


Pittore, calligrafo, fotografo, professore emerito, deputato, imprenditore di successo e fondatore di un museo dedicato alla pittura europea dell’Ottocento nella città di Handan (Hebei, Cina), Han Yuchen è un artista dai mille volti e dalle straordinarie risorse.  Le sue opere sono parte di collezioni pubbliche e private in ogni angolo del mondo, dal Museo Nazionale di Cina a Pechino all’ex presidente della Repubblica francese Nicolas Sarkozy. Nella rassegna  Splendore e purezza, allestita a Palazzo Ducale dal 12 al 29 settembre, l’artista cinese raffigura il Tibet e il suo popolo. «Una magistrale padronanza dei mezzi formali e tecnici consente all’artista di catturare la potenza della luce, la vividezza dei colori e lo splendore atmosferico delle grandi altitudini – racconta la professoressa Donatella Failla, curatrice della mostra – e, inoltre, di effigiare e documentare con possente realismo la vita quotidiana negli ambienti naturali, la persistenza delle tradizioni nomadiche e pastorali, monastiche e sociali. Il risultato è una ricchissima galleria di ritratti individuali e di gruppo che con accenti vibranti e molto umani ci parlano del destino esistenziale e spirituale del popolo del ‘Tetto del Mondo’, della sua stupefacente resilienza a condizioni climatiche estreme, ma soprattutto della sua forza spirituale, della sua inclinazione mistica e della sua anima collettiva pervasa dalla luminosità del cielo e dalla purezza della terra e dell’aria».


«Una  mostra straordinariamente autentica, che ci restituisce uno spaccato di vita tibetana tra il presente e il passato: una sintesi di tradizione e innovazione inserite in un ambiente naturale luminoso e nitido – commenta l’assessore alle Politiche culturali  Barbara Grosso –. Han Yuchen ha detto: “se vai in Tibet e trovi questa purezza di paesaggi e questa purezza di caratteri, della gente, magari puoi capire quello che vuoi e il motivo della tua esistenza”. Credo che il senso dell’esposizione possa essere racchiuso in queste parole e nella capacità dell’artista di mettere in  connessione l’originalità della sua tradizione culturale con quella del Tibet». La mostra s’inaugura mercoledì 11 settembre alle 18, ed è visitabile gratuitamente nella Sala Munizioniere di Palazzo Ducale da giovedì 12 a domenica 29 settembre (dalle 10 alle 18). «Il senso di un  presidio culturale, come con orgoglio Palazzo Ducale ritiene di essere – aggiunge  Serena Bertolucci, direttrice di Palazzo Ducale Fondazione per la Cultura – risiede anche nella capacità di essere pronto e ricettivo ad accogliere nuovi percorsi e nel conseguente impegno a divenire interprete di un patrimonio sempre più vivo. Come è quello di  questa mostra, intessuta di materia viva, sul filo dell’autenticità antropologica e storica, che non cede mai al pittoresco, ma resta salda nella narrazione, nell’oggi, che ovunque è fatto di memorie e di futuro: così convivono i costumi antichi e le innovazioni, i paesaggi primigeni e quelli antropizzati, gli usi tradizionali e le nuove attività. E i ritratti, freschi e immediati, intimi ma pubblici, si fanno capitoli di questo racconto; donne e uomini che son parte eppure estranei ai grandiosi ambienti dello sfondo, incarnano alla perfezione lo straordinario ossimoro dell’essere umano, nello stesso tempo narratore e narrato, carnefice e vittima, nano e gigante, ma qui sempre straordinariamente autentico».

C. S.

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