ROAD TO SUPERNOVA: L’INTERVISTA AGLI EUGENIO IN VIA DI GIOIA

Di il 13 Aprile 2018

Alla scoperta dei protagonisti del Supernova Festival: la band torinese si racconta in vista dell’evento musicale che coinvolgerà moltissimi giovani artisti

 

GENOVA – Giovani, torinesi e divertenti, saranno gli Eugenio in Via di Gioia a chiudere le date del Supernova Festival, nella cornice del Porto Antico di Genova, salendo sul palco dopo i Manitoba, e non vedono l’ora di far ballare il capoluogo ligure. Eugenio Cesaro, Emanuele Via, Paolo di Gioia e Lorenzo Federici si rivedono nel folk cantautorale. Freschi, attuali e mai banali: iniziano a far parlare di sé nel dicembre del 2014 dopo aver vinto il premio della critica all’ultimo Premio Buscaglione.

Li abbiamo intervistati per conoscerli e conoscerne le impressioni in vista dell’evento.

 

Eugenio, raccontaci chi siete e il perché di questo nome.

E. «Gli Eugenio in Via di Gioia nascono letteralmente in strada cinque anni fa. Il primo live è avvenuto all’interno di una scuola torinese dove abbiamo cantato e suonato brani già scritti in precedenza. Ci siamo trovati da subito in sintonia.

Il nome del gruppo non ha niente a che vedere con significati nascosti ma è un semplice accostamento dei nostri nomi e cognomi. Lorenzo Federici è stato l’ultimo a prendere parte al progetto ed è questo il motivo per cui il suo nome non è presente: ci siamo incontrati casualmente a Londra e poco dopo si è trasferito a Torino.»

 

In un periodo come quello odierno di contaminazioni musicali, quali sono i vostri esempi italiani e non?

E. «Abbiamo tante suggestioni differenti nel panorama musicale; qualcuno ci accomuna alla scuola del cantautorato, da Gaber, Jannacci fino a Rino Gaetano e di questo siamo molto onorati. Il nostro pensiero, attualmente, è però quello di staccarci dall’etichetta folk che ci è stata attribuita per ottime ragioni. Abbiamo iniziato a suonare in strada e questo ha implicato alcuni accorgimenti: gli strumenti folk, prima di tutto, sono quelli che più si adattano alla situazione. Dall’esigenza di adattamento all’ambiente urbano è nato il nostro stile, che è quello a cui tutti ormai ci riconducono, nonostante la nostra intenzione attuale sia quella di cercare nuovi suoni.

Tra gli artisti italiani che ammiriamo di più ci sono Paolo Nutini, Giovanni Truppi, la Rappresentante di Lista e Io sono un cane, ma sono tanti anche gli artisti americani e internazionali.»

 

 

Che cosa pensate dei talent show odierni?

E. «Troviamo che siano un po’ la rovina del mercato musicale moderno. Negli ultimi anni molta gente ha iniziato a fruire la musica mettendosi in una posizione di sfida, come se il genere, il cantante o la band ascoltata fosse prettamente una squadra calcistica. La gente, a causa dei talent, fa il tifo per gli artisti e non si sofferma ad ascoltare e dare valore al talento. La musica sta creando un vero e proprio tifo e questo non va bene; troviamo che questo confronto così aggressivo non sia giusto soprattutto perché la televisione espone molto, forse troppo.

Dall’altra parte, però, siamo a favore dei concorsi musicali che creano una competizione sana tra gli artisti e che permette loro di crescere poco alla volta in modo naturale.»

 

Nelle vostre canzoni trattate spesso l’argomento tecnologico, qual è il vostro rapporto con la tecnologia?

E. «Abbastanza bipolare. Da una parte siamo attratti dalla tecnologia in modo ossessivo perché ci permette di esprimerci in modi sempre nuovi. Ci appassioniamo in fretta alle nuove uscire ma allo stesso tempo non vogliamo esserne schiavi. Il cellulare, ad esempio, è uno strumento fantastico: mette in relazione le persone in tempo reale, anche a enormi distanze, ci permette di conoscere cose nuove e avere le risposte alle nostre domande in tempo brevissimi. Tuttavia, nel momento in cui è la tecnologia ad usare l’uomo, esso diventa immediatamente oggetto e non più soggetto.

Ecco, la tecnologia è affascinante quanto pericolosa e non bisogna abusarne.»

 

Siete mai stati a Genova? Che cosa vi aspettate da questa città?

E. «Siamo stati a Genova una volta sola e per noi questo è strano. Abbiamo suonato molto nei capoluoghi e nelle grandi città italiane, anche con piccole date, per metterci da subito alla prova. Ma a Genova c’è stata una sola occasione: siamo venuti l’anno scorso in occasione dell’Uga Day! – Unione Giovani Artisti ndr. – ed è stato emozionante. Non ci aspettavamo così tanta gente e invece il passaparola sembra aver funzionato davvero bene. Siamo felici di tornare e non vediamo l’ora di suonare.»

 

Un episodio legato a un brano dell’ultimo disco

E. «Molte canzoni appartenenti all’ultimo disco le ho scritte e cantate per strada e ho un ricordo legato alla canzone intitolata “Sette camicie”. La eseguivo spesso perché ero curioso delle reazioni che poteva suscitare nei passanti.

Quel giorno, mentre cantavo, un signore molto elegante ma visibilmente instabile mi ha affiancato e ha iniziato a gridare parte del testo che stavo ripetendo. Non me lo aspettavo e mi ha fatto sorridere.»

 

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