DIPINGERE L’IGNOTO. A PALAZZO DUCALE IN VIAGGIO CON GIORGIO GRIFFA

Alla Sala del Doge l’omaggio ad uno dei grandi protagonisti dell’arte contemporanea
GENOVA – Palazzo Ducale di Genova presenta, nelle sale dell’Appartamento del Doge, la grande monografica “Dipingere l’invisibile” che omaggia il lavoro di un protagonista dell’arte contemporanea, il pittore Giorgio Griffa (Torino, 1936).
L’esposizione, curata da Ilaria Bonacossa e Sébastien Delot, è realizzata in collaborazione con la Fondazione Giorgio Griffa, ed è aperta al pubblico da sabato 22 marzo a domenica 13 luglio 2025.
Giorgio Griffa è rappresentato in tre Biennali d’Arte di Venezia (nel 1978, 1980 e 2017) ed è stato protagonista di oltre 200 mostre personali in musei e istituzioni di tutto il mondo, tra cui si ricordano quelle organizzate dalla storica dell’arte Ida Giannelli, negli anni ‘70-‘80, alla SamanGallery di Genova.
«Con questa mostra – sottolinea il presidente di Fondazione per la Cultura Beppe Costa – Palazzo Ducale decide di suonare uno spartito inedito puntando sull’arte contemporanea e conferendole centralità nella propria programmazione culturale. Una novità fino a un certo punto, però: tra le mostre cui ha dato il suo contributo Griffa ci sono anche quelle organizzate da Ida Giannelli, negli anni Settanta-Ottanta, proprio a Genova alla SamanGallery. Genova, infatti, è stata una città importante dal punto di vista del dibattito sul Contemporaneo e questa mostra, quindi, rinverdisce un solco ben presente nella storia della città».
Con oltre 50 anni di pittura, è un artista che ha scritto la storia dell’arte italiana attraverso una pittura poetica, astratta e performativa, dove il gesto e il segno trasportano il pubblico in un’esperienza sospesa fuori dal tempo in cui la storia dell’arte incontra la spiritualità zen.
«Il lavoro di Giorgio Griffa – spiega Ilaria Bonacossa, direttrice di Palazzo Ducale Fondazione per la Cultura e co-curatrice della mostra – ha la forza silenziosa dell’acqua nella sua capacità trasformativa che mette in scena una poetica e ipnotica sospensione temporale. In questa “trasformazione” un ruolo centrale è giocato anche da un altro elemento: la luce. E la luce è uno dei temi conduttori di questa mostra. A questo proposito abbiamo accolto con entusiasmo il suggerimento che lo stesso Griffa ci ha dato nell’allestimento: sarà bello infatti rivedere il Palazzo leggermente “cambiato”, con l’apertura alla luce naturale degli ambienti dell’Appartamento del Doge».
La mostra presenta 60 opere, tra grandi tele, lavori su carta e installazioni, tra cui un omaggio a Eugenio Montale nell’anno che celebra i 100 anni della raccolta poetica Ossi di seppia. L’esposizione propone un dialogo aperto tra le grandi tele astratte di Giorgio Griffa e la storia e l’architettura del palazzo.
«Giorgio Griffa – sostieneil co-curatore Sébastien Delot – ha compreso l’importanza dell’oblio, un processo necessario per accedere e dare spessore al tempo sensibile. Dare vita a un tratto, a una linea, a una forma gli permette di esprimere il suo rapporto con la memoria secolare della pittura. La pittura diventa il luogo degli spazi della memoria. Come un musicista, questo pittore torinese propone sottili variazioni intorno allo spazio, al colore e alla linea. Deve costantemente dimenticare tutto per avvicinarsi il più possibile all’origine. È una grande gioia lavorare con Giorgio Griffa e Ilaria Bonacossa per realizzare questa mostra a Palazzo Ducale, in questa città che, alla fine degli anni ‘70, ha ospitato due esposizioni volte a offrire al pubblico una storia della pittura dotata di una luce interiore».
IL PERCORSO
“Dipingere l’invisibile” rappresenta l’incontro con l’opera di un artista che vanta una lunga carriera da protagonista nella storia dell’arte italiana, con uno stile personalissimo e riconoscibile, fatto di segni primari e di colori puri.
Il percorso della mostra si sviluppa in undici sale in un itinerario artistico pieno di suggestioni e di spunti. La pittura di Griffa muove dalla convinzione che tutte le forme di arte – e tra queste la pittura – siano in grado di sondare il mistero e, dunque, si rapportino con l’invisibile e l’ignoto.
Le modalità di questo rapporto si manifestano attraverso una forma di “memoria” della pittura. È questo il motivo per il quale Griffa è stato spinto a lavorare per cicli: Segni primari, Segno e campo, Alter ego, Frammenti, Trasparenze, Numerazioni, Tre linee con arabesco, Canone aureo, Shaman, Dilemma, Océanie, Disordine…
La prima sala apre con “Segno colore” che rivela come la forma all’invisibile viene conferita da colori e segni che fluttuano in una tela in larga parte vuota e “liberata” dalla struttura-quadro. Alla fine degli anni Sessanta, infatti, i critici facevano riferimento a una crisi della pittura, e con essa della “forma”, alla quale Griffa risponde dipingendo su tele prive di telaio.
Nella seconda sala l’artista crea un repertorio di “Segni primari”: lettere di un alfabeto, tratti elementari organizzati in modo naturale affinché linee, colori e parole si dispongano sulla tela quasi fossero una melodia.
Il percorso prosegue con il ciclo “Segno e Campo”: Griffa negli anni Ottanta introduce le prime grandi campiture di colore che portano nuova energia alla tela. È anche l’occasione per l’artista di esprimere la sua grande ammirazione per l’opera del pittore Henri Matisse e le sue riflessioni sull’arte, i papier decoupé, il libro illustrato Jazz, il “sapore mediterraneo”. Scrive Griffa: «In musica, la gerarchia perfetta dell’orchestra sinfonica viene spezzata con il concerto
jazz. In pittura, Matisse e Picasso completano la decostruzione del sistema di prospettiva iniziato dal Tintoretto all’epoca di Copernico».
L’itinerario, partito da semplici segni e colori, nella quarta sala acquista un movimento quasi musicale con il ciclo “Ritmo”. Si può tracciare un’analogia tra il ritmo del jazz – una musica che con l’improvvisazione va ben oltre lo spartito – e la pittura di Giorgio Griffa in cui i segni, i colori, le forme e la tela lasciata a tratti vuota, come un respiro, permettono di far cantare le sue molteplici interpretazioni pittoriche. Ogni tela di un ciclo è un movimento di una grande sinfonia.
Si giunge poi al ciclo “Ignoto”. Nel 2011 Griffa chiarisce il suo rapporto con l’ignoto nel testo Visibile, soglia dell’invisibile, dove scrive: «Le arti succedono al sacrificio nel rapporto con l’ignoto. (…) Le arti fissano nuovi percorsi al passaggio dal visibile all’invisibile. Ecco, noi viviamo un’epoca fortunata che accetta l’ignoto senza bisogno di esorcismi, lo accetta come dato strutturale e non semplicemente come qualcosa che non è ancora noto».
Le sale successive ospitano il documentario Painting Disordine IR realizzato da Marko Seifert e Raphael Janzer, che ritrae Griffa al lavoro nel suo atelier mentre realizza la tela monumentale Disordine IR qui esposta. Il filmato consente di immergersi nell’intimità del momento creativo di Griffa.
“Disordine” dimostra l’interesse di Griffa per la fisica, come scienza in grado di proporre sistemi di rappresentazione e scrittura dello spazio e del tempo. L’arte e la scienza hanno entrambe a che fare con la riorganizzazione del nostro sistema concettuale. Così Giorgio Griffa spiega il ciclo Disordine, dove convivono macrocosmo e microcosmo: «Elettroni, protoni, neutroni, fotoni, quark intrecciano una danza perenne che produce meraviglie e orrori dall’infinitamente grande all’infinitamente piccolo, e noi nel mezzo».
Il percorso prosegue con il ciclo “Non finito”, tema centrale della sua poetica, scelta intenzionale dell’artista, che risponde e rispetta la natura dinamica del tempo e dello spazio. Con segni e campiture di colore che non riempiono mai completamente la tela, le opere di Griffa rimangono come sospese, aperte a infinite possibilità. «All’inizio – spiega – fu la scelta di lasciare interrotti i segni o il campo di colore, senza dipingere integralmente la tela, perché nel frattempo la vita è passata avanti, pensiero che viene dallo Zen. (…) Da ultimo mi sono reso conto che un “non finito” non può essere perfetto. Il punto è che il nostro concetto statico di perfezione deve essere aggiornato alla dinamica dell’Universo».
La mostra sull’opera di questo protagonista assoluto dell’arte contemporanea si conclude con le sale dedicate a “Poesia” e “Océanie”.
È la poesia a rendere visibile ciò che non lo è e intelligibile ciò di cui non si può dire nulla. «Le arti figurative di tutti i luoghi e di tutti i tempi – dice – si avvalgono di forme visibili, spesso con straordinaria bravura dell’artista, per entrare nell’invisibile». A partire dal Dioniso, una grande
installazione di 21 tele parzialmente sovrapposte che realizza per la Biennale di Venezia del 1980, Griffa amplia la sua indagine includendo un nuovo supporto: la tela tarlatana, ovvero una
garza leggera, trasparente e quasi inafferrabile. L’artista abbandona la rigidità formale dei suoi inizi per adottare riferimenti che attingono alle radici della poesia e della letteratura. Marcel Proust, Paul Valéry, Ezra Pound, Italo Calvino, Bob Dylan sono i nuovi riferimenti letterari che ne influenzano la produzione.
Griffa nutre una grande ammirazione per Henri Matisse e torna a lui esplorando l’opera Océanie le ciel la mer. L’artista, a partire dal suo alfabeto personale, fatto di segni, colori, composizioni astratte, reinventa un immaginario che affonda le radici nell’opera di questo grande maestro, con la quale si confronta attivamente, senza mai riproporla pedissequamente. Per Giorgio Griffa la rappresentazione è una sperimentazione costante: così come l’Essere, anche la Pittura è sempre in movimento, sempre aperta.

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Il direttore responsabile di GOA Magazine è Tomaso Torre. La redazione è composta da Alessia Spinola. Il progetto grafico è affidato a Matteo Palmieri e a Massimiliano Bozzano. La produzione e il coordinamento sono a cura di Manuela BiaginiMessaggi correlati
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