“EQUUS” DI PETER SHAFFER TORNA IN PRIMA NAZIONALE AL DUSE NELLA VERSIONE DI CARLO SCIACCALUGA A 50 ANNI DAL DEBUTTO DEL PADRE MARCO

Di il 21 Marzo 2025

Nello spettacolo, quasi un passaggio di testimone di padre in figlio, in scena dal 25 marzo al 6 aprile, si intrecciano storie professionali importanti con protagonisti Pietro Giannini, Luca Lazzareschi, Pia Lanciotti, Camilla Semino Favro, Paolo Cresta, Michele De Paola, Giulia Prevedello (foto di scena Federico Pitto)

GENOVA – Al teatro Eleonora Duse di Genova debutta in prima nazionale EQUUS di Peter Shaffer, regia di Carlo Sciaccaluga, anche autore della traduzione e dell’adattamento. Lo spettacolo torna sulle scene italiane, a 50 anni dal debutto del padre Marco, sempre al Duse di Genova. In scena c’erano Eros Pagni, Gino Pernice, Miriam Crotti, Giovanni Crippa – allora diciannovenne – Rolanda Benac.

L’edizione 2025 di EQUUS ha come interpreti: Pietro Giannini, Luca Lazzareschi, Pia Lanciotti, Camilla Semino Favro, Paolo Cresta, Michele De Paola, Giulia Prevedello

EQUUS racconta la storia di Alan Strang, un diciassettenne che ha compiuto un atto di violenza incomprensibile: ha accecato sei cavalli. Il compito di comprenderne il motivo spetta allo psichiatra Martin Dysart, uomo disilluso e imprigionato in un’esistenza monotona. Ma più Dysart scava nella mente del ragazzo, più emerge un universo di passioni fisiche e mistiche, che lo mette di fronte alla propria crisi esistenziale e lo porta a interrogarsi sull’ eterna lotta tra istinto e ragione, controllo e libertà. Lo psichiatra e il giovane paziente ingaggiano un confronto che suscita l’uno nell’altro un percorso di conoscenza di abissi e verità, chiaramente testimoniato dalle battute iniziali di Dysart leggiamo: «Che cosa mi aspettavo da lui? Molto poco, ve lo assicuro. Un’altra faccetta tormentata. Un altro adolescente disadattato. Il solito insolito. C’è un bel vantaggio a lavorare nel business

del rattoppo mentale: non sei mai a corto di clienti»

La trama prendeva spunto da un fatto di cronaca realmente accaduto «un crimine allucinante, che mancava di una spiegazione coerente e aveva profondamente scosso i magistrati dell’epoca.   – leggiamo nelle note alla prima edizione del 1973 – Era accaduto in una fattoria nelle campagne londinesi, commesso da un ragazzo squilibrato. Il resto, ogni personaggio e ogni situazione sono una mia personale, eccetto il crimine in sé stesso: e anche questo l’ho modificato in accordo con quello che ritengo essere accettabile in una dimensione teatrale. Nell’ultima stesura del testo ho avuto la fortuna di essere aiutato da uno specialista in psichiatria infantile per rendere le cose il più possibile credibili e reali. Questa esperienza mi ha fatto conoscere il mondo degli psichiatri: categoria molto vasta con metodi e tecniche molto differenti. Martin Dysart è un medico in ospedale. Devo assumerne la responsabilità, come assumo quella del suo paziente».

La storia di EQUUS in Italia e all’estero (1975 < 2025)

Nel 1973 Peter Shaffer, autore noto noto per un altro testo che mette a confronto generazioni e mondi come Amadeus scrive Equus che ebbe una lunga fortuna e molte riprese, tra Londra e Broadway, interpretato da attori (oltre il giovane Peter Firth, nel ruolo di Alan Strang) del calibro di Tom Hulce, sempre nel ruolo di Alan Strang o Anthony Hopkins (poi sostituito da Anthony Perkins) e Richard Burton (nel ruolo dello psicanalista Martin Dysart).

La prima nazionale italiana fu – al Teatro Duse di Genova – il 6 dicembre 1975, mentre la prima assoluta londinese si tenne all’Old Vic – London National Theatre – nel luglio 1973 (regia di John Dexter con Peter Firth nel ruolo del ragazzo). All’epoca il testo ebbe molti riconoscimenti: un Tony and il New York Drama Critic’s Circle Award come miglior “dramma psicologico”.

Del 1977, è il film di Sidney Lumet (sceneggiatura dello stesso Schaffer e regia) che ebbe tre candidature agli Oscar: sceneggiatura (di Shaffer) e attori (Peter Firth e Richard Burton), mentre il giovane attore Peter Firth vinse il Golden Globe come attore non protagonista.

Note di regia di Carlo Sciaccaluga

Un cavallo è solo un cavallo? Oppure è il riflesso più profondo e insondabile della nostra natura selvaggia? EQUUS è un viaggio nel cuore oscuro del desiderio, un rito iniziatico che affonda nel mito e nella psicologia, un’opera che esplora il mistero dell’identità e il peso del conformismo sociale.

EQUUS è una storia di oppressione. Alan è un giovane che ha un desiderio profondo, assoluto, una forza anche erotica che non riesce a trovare forma in una società che lo schiaccia sotto il peso del conformismo: lavora in un negozio di elettrodomestici, si stordisce davanti alla televisione, il nuovo grande oppiaceo dell’individuo che in quegli anni stava sostituendo la religione.

Nel 1973 Shaffer individuava nel consumismo e nell’intrattenimento di massa i grandi strumenti di repressione dell’individuo.

Cinquant’anni dopo, come stiamo? Un po’ peggio o un po’ meglio?

Molti diritti individuali sulla carta sono stati riconosciuti, ma in mano abbiamo uno strumento che può impedirci di vivere il presente, e che rende i nostri desideri superflui e anestetizzati. E i nostri corpi diventano propaggini del telefono, non il contrario. Vanno allenati solo per mostrarli su Instagram.

Il desiderio è pericoloso, perché è antisociale. Per questo va soffocato, addomesticato, reso innocuo. Ma il desiderio scalpita, freme, a volte non vuole farsi mettere le briglie. E se è oppresso rischia di esplodere e distruggere invece che di nutrire e vivificare.

Il nostro EQUUS è un’esplorazione viscerale della lotta tra il desiderio e il controllo, tra l’istinto e la ragione. Le maschere equine, i corpi che evocano il galoppo, la scenografia che si fa spazio di sogno e incubo, in cui i confini tra realtà e delirio si assottigliano. La colonna sonora, con il suo ritmo incalzante e le sue contaminazioni elettroniche, scandisce il dramma come un battito cardiaco impazzito, un crescendo ossessivo che rispecchia l’esplosione emotiva della vicenda.

EQUUS è un’opera che interroga il pubblico senza offrire risposte facili. È la storia di un giovane che si rifiuta di essere addomesticato. È un grido, un atto di ribellione. È l’essere umano che si ricorda di essere un meraviglioso animale.

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Il direttore responsabile di GOA Magazine è Tomaso Torre. La redazione è composta da Alessia Spinola. Il progetto grafico è affidato a Matteo Palmieri e a Massimiliano Bozzano. La produzione e il coordinamento sono a cura di Manuela Biagini

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