“PIGNASECCA E PIGNAVERDE”, IL RITORNO DELLA TRADIZIONE COMICA GENOVESE ALL’IVO CHIESA. MAURO PIROVANO: «GOVI È IL SOLE, NOI GLI RUOTIAMO ATTORNO»

Di il 5 Marzo 2025

Dopo il successo de “I maneggi per maritare una figlia”, va in scena dal 6 al 19 marzo all’Ivo Chiesa un altro capitolo e pietra miliare del tradizionale repertorio goviano in cui l’attore genovese affianca Tullio Solenghi vestendo i panni del cugino Alessandro. «Grazie a Govi tramandiamo la genovesità alle nuove generazioni»

di Alessia Spinola

GENOVA – La grande tradizione della commedia genovese è pronta ad andare in scena sul palco del Teatro Ivo Chiesa con il debutto di “Pignasecca e Pignaverde” dal 6 al 19 marzo. Dopo il successo de “I maneggi per maritare una figlia”, Tullio Solenghi aggiunge un capitolo al “progetto Govi” rappresentando un altro cavallo di battaglia della tradizione comica ligure e creando tantissime aspettative, tanto che i biglietti sono già quasi tutti sold out.

L’adattamento è a cura di Tullio Solenghi e Margherita Rubino. Nel dare vita allo spilorcio per antonomasia Felice Pastorino, Solenghi si affida nuovamente ad una lunga e accurata sessione di “trucco e parrucco”, curata da Bruna Calvaresi, dagli esiti davvero strabilianti, tanto che ad una certa distanza sembra di rivedere in scena il grande Gilberto Govi.

Per il ruolo del cugino Alessandro, che insieme a Felice Pastorino è il protagonista di molte scene da ricordare, tra cui quella del sigaro fumato in verticale, Solenghi ha voluto accanto a sé un altro attore comico, molto noto e amato dal pubblico genovese: Mauro Pirovano, con cui abbiamo avuto il piacere di parlare per approfondire il valore di questa produzione e il legame con il teatro goviano. Profondo conoscitore della tradizione ligure formatosi proprio presso la scuola del Teatro Stabile di Genova, l’attore ha raccontato il grande legame che ha con il teatro di Govi, affermando come per lui sia un immenso regalo portare in scena questo spettacolo e ripercorrendo alcune tappe principali della sua carriera.

Qual è stato il suo approccio nell’interpretare un’opera così radicata nella tradizione teatrale genovese come “Pignasecca e Pignaverde”?

È stato un vero regalo. L’approccio nasce dal fatto che conosciamo questa commedia talmente bene da averla nel DNA. Io, ad esempio, la vedevo in televisione interpretata da Govi e ormai sappiamo quasi tutte le scene a memoria. Ciò che stupisce è vedere quanto questo teatro sia ancora radicato nel pubblico. Io ho recitato solo in Pignasecca e Pignaverde, mentre gli altri hanno portato in scena anche I maneggi per maritare una figlia, e ovunque andiamo, il riscontro è straordinario, non solo tra i genovesi. L’abbiamo già portato anche fuori regione e l’accoglienza è stata incredibile. È un’esperienza meravigliosa. Non avrei mai immaginato di poter rivivere uno spettacolo di Govi che conosco a menadito, reinterpretarlo e farlo con una gioia immensa.

Quale messaggio pensa che trasmettano al pubblico contemporaneo i personaggi di Pignasecca e Pignaverde?

Trasmettono una genovesità che non cambia, perché noi siamo questo. Per esempio, una volta, dopo uno spettacolo a Camogli, una ragazza di vent’anni mi ha aspettato fuori e mi ha detto: “Vi ringrazio, perché ho visto la Genova che mi ha raccontato mio nonno”. Questo teatro è un recupero della memoria, un recupero storico anche per i giovani. Gli anziani, in qualche modo, hanno sempre tramandato il sapere di Govi, e la sua grandezza sta proprio nel fatto che non è mai morto. Il legame con i giovani nasce così: rivedono in questi spettacoli quella Genova che è stata raccontata loro, ma che oggi non esiste più.

Secondo lei, quale sarà la reazione del pubblico genovese? Ha più paura o eccitazione?

Sono consapevole di fare un regalo al pubblico genovese. Non si tratta solo di interpretare, perché nel momento in cui porti in scena Govi, inevitabilmente vieni criticato. Noi lo facciamo perché è un’idea di Tullio: lui porta Govi in scena, ma con i suoi tempi, i tempi di un grandissimo comico. Per me, ogni sera, lo spettacolo è un modo per regalare questa gioia al pubblico. C’è chi dice che Govi sia irripetibile, che parliamo poco genovese, ma non è questo l’importante. Ciò che conta è la trasmissione della memoria. È una festa, come quella che ho vissuto anni fa con alcuni spettacoli che oggi potremmo definire quasi archeologia teatrale. Raramente si trova un pubblico così coeso. Certo, a Genova ci sarà sempre qualcuno critico, ma abbiamo già portato lo spettacolo a Bolzaneto, quindi siamo vaccinati. Il pubblico lo accoglierà. Alcuni amici mi hanno detto che parlo poco genovese, ma se vuoi far vivere il dialetto, devi portarlo in scena così come lo faceva Govi, senza rinchiuderlo tra le mura della città.

Se potesse portare in scena un altro grande classico della tradizione genovese, quale sceglierebbe?

Quello che ha scelto Tullio, che porterà in scena il terzo cavallo di battaglia di Govi, anche se al momento non conosciamo ancora la distribuzione, perché sta ancora lavorando al testo. L’unica cosa che sappiamo con certezza è che c’è lui. Ripetere un’esperienza come questa significa fare teatro con gioia, ed è sempre stato il mio obiettivo. Quando reciti con passione, con persone con cui ti trovi bene e in una compagnia affiatata, tutto assume un significato speciale.

È la prima volta che recita con Solenghi? Come vi siete trovati a stare in scena insieme?

Lavorare con Tullio, per un attore comico come me, è un’esperienza straordinaria. Lui è un vero principe della risata e ogni giorno si impara qualcosa. Anche alla mia età, è bello scoprire ancora l’arte del far ridere, e lui in questo è un maestro. La compagnia è fantastica, e non lo dico per circostanza. Ammetto che inizialmente era una mia preoccupazione, ma siamo un gruppo affiatato, e questo il pubblico lo percepisce subito. C’è un’amicizia che va oltre il palcoscenico. Io conoscevo già Tullio da molto prima di lavorare con lui. Quando ero ragazzo, andavo a vederlo a teatro e a 13-14 anni ho assistito ai suoi spettacoli. Lo seguo quindi da più di cinquant’anni, e collaborare con lui oggi è un’esperienza incredibile. Non mi sarei mai aspettato un’opportunità del genere, poi un giorno è arrivata questa chiamata perché lui sapeva che da anni lavoravo con il dialetto genovese, soprattutto grazie al personaggio che ho creato insieme a Pino Petruzzelli, il Bacci Musso. Per oltre dieci anni ho portato questo personaggio in giro, anche fuori dalla Liguria, sempre in genovese. Ma ho sempre avuto chiaro un principio: il pubblico deve capire. Non si può rischiare che si perda una battuta perché non comprende una parola, altrimenti tutta la scena ne risente. Trovare dei veri compagni di viaggio nel teatro non è facile. Spesso lavori con persone imposte dai contratti o dalle produzioni, ma qui è nata una vera alchimia. Ed è una fortuna rara.

Negli anni Duemila ha riproposto grandi classici come Amleto e Romeo e Giulietta in lingua genovese. Quel è la differenza tra mettere in scena Shakespeare e un testo che è invece proprio della tradizione genovese?

Fin dall’inizio avevo in mente di raccontare anche I maneggi per maritare una figlia, perché ho sempre guardato a Govi e al modo in cui interpretava la sua maschera. Senza presunzione, per noi comici genovesi Govi è come il sole: noi siamo solo satelliti che gli ruotano attorno. È nel nostro DNA, perché siamo genovesi. La scelta di portare in scena i grandi classici è nata proprio da questo. Petruzzelli poi rispettava proprio il testo originale, anche se a volte lo rielaboravano. Già alla fine degli anni ’90, ai tempi dei Broncoviz, c’era l’idea di riproporre I maneggi per maritare una figlia, ed è un’idea che in qualche modo è sempre rimasta viva, perché Govi ci segue sempre. Anche quando ho lavorato in pubblicità o in fiction, mi chiedevano spesso di usare la cadenza genovese perché risultava simpatica. Ma il vero Govi non era solo il dialetto: era la sua mimica, la sua espressività. Lui è l’archetipo, il punto di riferimento. Non puoi sfuggire alla sua eredità, perché continua a seguirti ovunque.

Lei ha recitato con diversi protagonisti della scuola comica genovese ed è stato uno dei fondatori dei Broncoviz. Ci sono differenze di approccio nel recitare insieme ad un attore rispetto che ad un altro?

Sicuramente. Eravamo tutti molto diversi tra noi, e proprio per questo alla fine si è creato un mix unico, una sorta di alchimia speciale. Questo equilibrio è nato anche grazie a Gaglione, che ci ha scelti quasi uno per uno, anche perché eravamo compagni di scuola. Nel mio percorso ho incontrato molti attori, ma con alcuni c’è sempre stato un linguaggio comune. Ad esempio, adesso sto lavorando con Marcello Cesena a Sensualità a corte con i Gialappi, e il nostro modo di comunicare è lo stesso da 45 anni. La comicità è sempre stata una costante. Con Tullio, ad esempio, c’è tutto il suo mondo, il suo trio, e certe esperienze rimangono dentro di te, fanno parte del tuo DNA. Non puoi cancellarle, emergono sempre in scena. La parola chiave per me è divertimento. Se non ci divertiamo noi sul palco, il pubblico lo percepisce subito. E senza quello, viene meno tutto

Nel corso della sua carriera ha fatto anche tanta tv, Pignasecca è un po’ tornare alle origini della sua carriera? Preferisce tv o teatro?

Il teatro è l’attore. La televisione, ai suoi tempi, serviva più che altro per il conto in banca. Sembrano esperienze che non finiscono mai, momenti intensi che ti assorbono completamente. Con la fiction mi sono divertito, soprattutto perché ho avuto l’opportunità di recitare accanto a grandissimi attori: Proietti, Banfi, Scarpati… tutti artisti che arrivano dal teatro. Proietti faceva televisione, certo, ma era un animale da palcoscenico. Lo stesso vale per Banfi. Quando giravamo le fiction, mentre molti attori aspettavano semplicemente che sistemassero le luci, Proietti e Banfi lavoravano sulla scena come a teatro, lavoravano sul momento, proprio come si fa sul palcoscenico. Perché questo è l’attore: qualcuno che vive la scena, che la costruisce. I registi televisivi, invece, spesso si concentrano più sulle azioni che sull’interpretazione. Guardano la resa complessiva della scena, più che le intenzioni dietro la recitazione. Ma i grandi attori, quelli veri, non sono sprovveduti: portano il loro mestiere ovunque, anche davanti alla macchina da presa, e lavorano con la stessa dedizione con cui lo farebbero a teatro.

Guardando ai giovani attori di oggi, vede nel futuro la nascita di un altro gruppo teatrale di comici genovese come eravate stati voi?

Abbiamo avuto la fortuna di vivere un periodo ricco di opportunità, con tanta effervescenza creativa. Non parlo da nostalgico, ma negli anni ’90 e nei primi 2000 c’era davvero tanta roba. Oggi vedo giovani molto preparati, che escono dallo Stabile e si uniscono, perché insieme si è più forti. Negli anni d’oro delle fiction giravo continuamente, si facevano serie da 20 puntate e il pubblico era enorme. Un medico in famiglia arrivava a 14 milioni di spettatori, oggi impensabile. Ora tutto è più veloce, frammentato tra piattaforme come Netflix o Sky,e devi andarti a cercare i contenuti. È un panorama diverso, con più dispersione

Che consiglio darebbe quindi a questi giovani attori?

Non hanno bisogno di consigli, sono bravi. Da più di 20 anni faccio laboratori teatrali nelle scuole con il Teatro Nazionale di Genova e molti ragazzi finiscono per prendere il “germe” della recitazione. Alcuni sono diventati attori, altri si barcamenano tra aiuto regia e vari lavori, perché oggi c’è una marea di gente che vuole fare questo mestiere. I giovani sono preparatissimi, mentre noi eravamo più naif. Le opportunità sono diverse, ma la passione è fondamentale. Io potevo fare l’elettricista come mio padre, ma ho scelto un’altra strada, con tutti i rischi del caso. Gli attori affrontano provini su provini, spesso con umiliazioni, ma alla fine, chi nasce attore trova sempre il teatro.

Completano il cast, attori e attrici liguri e non solo, come Roberto Alinghieri, Claudia Benzi, Stefania Pepe, Laura Repetto, Matteo Traverso, Aleph Viola

La scena e i costumi dello spettacolo sono ideati da Davide Livermore che, giocando con il bianco e nero, omaggia le commedie goviane trasmesse in tv negli anni ’60. 

Su Redazione

Il direttore responsabile di GOA Magazine è Tomaso Torre. La redazione è composta da Alessia Spinola. Il progetto grafico è affidato a Matteo Palmieri e a Massimiliano Bozzano. La produzione e il coordinamento sono a cura di Manuela Biagini

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