RISATE AL PORTO ANTICO: MARCO RINALDI E DANIELE RACO DEI “BRUCIABARACCHE” RACCONTANO “SAI CHI TI SALUTA?”

Di il 10 Luglio 2024

Lo spettacolo del collettivo comico genovese avrà luogo domani sera, giovedì 11 luglio, all’Arena del Mare. Lo show rappresenta uno degli appuntamernti clou di “Ridere d’agosto ma anche prima”

di Alessia Spinola

GENOVA – Uno sguardo satirico, impertinente e irriverente sull’attualità e sul mondo che ci circonda: è questo quello che si propone di fare “Sai chi ti saluta?“, il nuovo spettacolo dei Bruciabarcche che avrà luogo domani sera, giovedì 11 luglio, all’Arena del Mare. Lo show rappresenta uno degli appuntamernti clou e più attesi di “Ridere d’agosto ma anche prima“, la rassegna estiva del Teatro Garage che propone spettacoli tra cabaret, commedia contemporanea, musica, satira e teatro d’improvvisazione. I Bruciabaracche porteranno sul palco sketch corali, monologhi, canzoni e i personaggi storici più amati, e per l’occasione Goa Magazine ha intervistato due dei comici del collettivo, Marco Rinaldi e Daniele Raco, i quali ci hanno raccontato, tra le altre cose, i loro ricordi più belli sopra e sotto il palco, lasciando spazio anche a una finestra estremamente intima e personale.

Cosa bisogna aspettarsi dal prossimo spettacolo dei Bruciabaracche?

MR: Come tutti gli spettacoli dei Bruciabaracche, ogni volta è uno spettacolo diverso, quindi ci si deve aspettare di vedere qualcosa di non visto, con mologhi e sketch nuovi. Questa volta ci sono anche due momenti corali in cui siamo tutti insieme, anche questi nuovi di zecca.

DR: Tante cose belle e nuove, perché come sempre cambiamo lo spettacolo anche se la formula rimane invariata perché siamo sempre gli stessi. Ognuno di noi nel suo momento cerca sempre di portare qualcosa di nuovo, anche nei momenti corali. Le solite due ore di allegria e spensieratezza.

Data la vostra lunga carriera, come ci si approccia al pubblico delle nuove generazioni, ancora più difficile ed esigente e soprattutto più sensibile e facile da offendere?

MR: È un discorso molto difficile da affrontare anche perché le nuove generazioni hanno gusti diversi, infatti il nostro pubblico è composto per la maggior parte da nostri coetanei, poi chiaramente i ragazzi più giovani che vengono a vederci si divertono, quindi l’unico modo per approcciare con le nuove generazioni è farli ridere, che è anche il nostro mestiere.

DR: Io non me ne faccio un problema dall’alto della mia età più che della mia carriera, sinceramente se qualche giovane mi viene a contestare faccio proprio il vecchio e gi dico “ai miei tempi…”. In realtà, scherzi a parte, cerco sempre di adeguarmi molto al tempo in cui vivo, poi per fortuna sia frequentando club comedy che insegnando ho un rapporto davvero diretto con le nuove generazioni e i miei monologhi ne risentono in positivo.

Qual è il ricordo più bello che ha con i Bruciabaracche?

MR: Ormai sono più di dieci anni che abbiamo creato questo ensemble anche se non lavoriamo sempre insieme e quindi i ricordi sono davvero tanti e simili, il pubblico si diverte tanto ma proprio perché anche noi lo facciamo. I ricordi più divertenti quindi forse sono quando quelle rarissime volte che ci vediamo per provare si improvvisano delle cose che poi vengono inserite nello spettacolo e in quel momento ridiamo talmente tanto da sentirci male.

DR: I ricordi da palco sono davvero tantissimi perché abbiamo sempre avuto molto pubblico che ci è venuto a vedere e ogni volta è un’emozione enorme. Non saprei sceglierne uno, forse lo spettacolo che abbiamo fatto poco dopo che è mancato mio papà e ho sentito tutti i “miei frè” intorno. Io a un certo momento, pochi se ne saranno accorti, ero fuoriuscito dai Bruciabaracche, sono mancato per uno spettacolo, poi però quando sono tornato mi hanno veramente accolto come se non fosse cambiato nulla: questo è un ricordo proprio bello che ho.

La tradizione del gruppo di comici su un palco è anche tipicamente genovese, iniziata con i Broncoviz, proseguita con i Cavalli Marci e ora con i Bruciabaracche e i Pirati dei caruggi. Come mai secondo voi?

MR: Perché secondo me ci sono state esigenze diverse negli anni. I Cavalli Marci e i Broncoviz, per esempio, erano nati come gruppo, mentre i Bruciabaracche e, credo, anche i Pirati dei Caruggi sono degli ensemble, artisti singoli che però si incontrano per creare un bel movimento. Inoltre mettersi insieme ti permette di fare spettacoli diversi continuamente, cosa che quando lavori da solo non è così semplice, anche se la voglia di stare insieme forse è il motivo principale.

DR: Secondo me a Genova esiste un tipo di comicità e un tipo di umorismo che è caustico, cattivo, un po’ denigrante, anche tra amici (e alcuni di noi lo sono davvero da trent’anni): c’è questa regola non scritta di potersi prendere in giro e credo che questo sia una cosa molto genovese e che crea i gruppi di comici.

Marco, che differenze ci sono tra il recitare in coppia con Andrea Possa nei Soggetti smarriti e il recitare da solo?

MR: È una differenza enorme, sia tecnicamente che per le cose che si fanno. Con Andrea facciamo un cabaret puro, quello che si faceva qualche anno fa ma che comunque si continua a fare, quando invece faccio i miei spettacoli da solo, essendo un comico, cerco anche di sdrammatizzare anche i momenti drammatici che ci sono in alcuni spettacoli, ma comunque sia faccio una cosa diversa dai Soggetti Smarriti. Con Andrea la cosa ci viene molto semplice perché c’è una tale consuetudine nel lavorare insieme che molto spesso quando ad esempio facciamo i pezzi di Fogna e Campana, questi nascono dieci minuti prima di salire sul palco.

Daniele, tu oltre al teatro hai fatto anche tanta tv, qual è la differenza tra il recitare al teatro e il farlo per il piccolo schermo? C’è una dimensione che preferisci?

DR: La mia dimensione preferita in assoluto sono i piccoli teatri da cento o duecento posti e i club, quindi tutte quelle situazioni dove il pubblico ce l’hai veramente addosso. La tv è sicuramente diversa e io ho avuto la fortuna di fare una tv dove si faceva uno spettacolo per un pubblico e accidentalmente c’erano le telecamere, quindi non ho mai vissuto troppo lo spettacolo puramente televisivo, di fatto Zelig era uno spettacolo fatto da vivo e mandato in onda, come se ad uno spettacolo dei Bruciabaracche ci fossero le telecamere, il che sarebbe una cosa meravigliosa.

Cosa ne pensate della tendenza odierna di fare una comicità “politicamente corretta”? È possibile secondo voi unire le due cose?

MR: Ultimamente i nuovi comici che si definiscono stand up comedian cercano di fare una comicità politicamente scorretta e io credo che come in tutte le arti c’è sempre un limite da non valicare, quando lo si valica magari si diverte anche il pubblico ma il pericolo grosso è che poi dopo non hai più cose da dire, se non andando ancora più sulla volgarità e sull’essere scorretti: diventa un cane che si morde la coda e alla fine non stupisce più nessuno.

DR: No, secondo me la comicità è per definizione scorretta, il comico corretto che fa battute che non offendono nessuno non fa comicità. Non è che qualcuno si deve offendere per forza, ma non dev’essere quello il mio problema. Per me l’unica discriminante per un comico è “fa ridere” o “non fa ridere”. Come diceva Tognazzi, “il comico deve poter sempre alzare la mano e invocare il diritto alla cazzata”.

Come vedete il futuro della comicità?

MR: Sicuramente roseo, tutte le volte si dice “siamo arrivati in fondo”, “non c’è più niente da dire”, e in effetti con il caberet puro si era fatto ormai di tutto e sembrava che ormai la comicità non avesse sbocchi, invece si è poi andati a fare la stand up comedian, che non è altro che il vecchio cabaret di una volta.

DR: Ci sono tantissimi giovani che si approcciano alla comicità, se poi probabilmente più della metà di loro lasceranno perdere tra qualche anno non importa, vuol dire però che c’è un interesse e che è un mondo assolutamente vivo e in sviluppo. Ci sarà sempre spazio per l’ironia e la comicità, altrimenti non vale la pena vivere.

Marco, ci puoi svelare i progetti futuri dei Bruciabaracche?

MR: Saremo al Politema Genovese con uno spettacolo tutto nuovo di Natale il 26 e 27 dicembre. Siccome i nostri spettacoli al Politeama fanno sempre il “tutto esaurito”, probabilmente si aggiungerà un’altra data.

Daniele, hai più volte parlato della tua passata dipendenza dal gioco e della tua rinascita, scrivendoci anche lo spettacolo “La Gallina, storie d’azzardo e altre storie”: cosa si prova a sapere di aiutare altre persone che magari stanno vivendo la stessa situazione ad affrontare il problema ridendoci su? A te quanto ha aiutato, se l’ha fatto, la comicità?

DR: Per me la comicità è stato il salvagente che mi ha permesso di non affondare fino al fondo, è stata davvero l’ultimo pezzo di bracciolo per non finire nella totale dipendenza dalla quale non sarei più riuscito a uscire. Quando ho ammesso di avere questo problema e ho inziato a prenderne atto e a tenerlo a bada, mi è venuto quasi naturale raccontare questa cosa, se poi il mio racconto ha aiutato, come so che ha fatto, persone a guardarsi allo specchio e a porre rimedio al proprio problema mi fa solo contento. Va detto che non era lo scopo principale, io ho iniziato a raccontarlo perché avevo bisogno di farlo, se poi questa cosa ne ha aiutato anche solo uno, benissimo. In questo anche i Bruciabaracche sono stati davvero dei fratelli e continuano ad esserlo. Ogni anno il 26 dicembre siamo a teatro e il 26 dicembre è il mio altro compleanno e da quando c’è mi hanno sempre fatto gli auguri. Mi sono stati tutti molto vicini.

Oggi sono tanti i giovani che vorrebbero fare della comicità il loro lavoro, che consiglio dareste loro?

MR: Gli consiglierei di smettere perché noi siamo ancora in attività e se i giovani sono tanti e sono bravi poi ci rubano il mestiere e prima di andare in pensione non possiamo mollare il colpo (ride).

DR: Di guardare tutti gli altri che l’hanno fatta prima di loro, anche quello che non piace. C’è una tendenza a guardare molto i comici stranieri e va benissimo, però va guardato anche chi in Italia ha fatto questo mestriere prima.

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Il direttore responsabile di GOA Magazine è Tomaso Torre. La redazione è composta da Alessia Spinola. Il progetto grafico è affidato a Matteo Palmieri e a Massimiliano Bozzano. La produzione e il coordinamento sono a cura di Manuela Biagini

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